Letture per il finesettimana #15

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’8 gennaio 2021]

Buon venerdì,
e buon 2021. Questa settimana parliamo di dove ci porterà il nuovo anno pandemico, delle implicazioni dell’accordo sulla Brexit per la ricerca scientifica, del primo progetto finanziato in Africa con il fondo verde per il clima dell’ONU, del sindacato fondato dai dipendenti di Google, dell’entrata in vigore del Plan S sull’open access e diamo gli aggiornamenti sulla situazione dell’epidemia di COVID-19 (in particolare sulle campagne vaccinali in Europa e sulla nuova variante B.1.1.7).
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1 Dove ci porterà il secondo anno della pandemia?
Su The Atlantic, il giornalista scientifico Ed Yong fa un bilancio del primo anno della pandemia e di quello che ci aspetta per il secondo. Abbiamo davanti a noi una campagna vaccinale di proporzioni inedite, che pone sfide industriali (produzione di un numero di dosi sufficiente), logistiche (raggiungere le zone rurali distanti dai centri clinici) e culturali (l’esitazione e la resistenza alle vaccinazioni si concentrerà in certi gruppi e regioni geografiche e questo potrebbe ridurre l’efficacia del vaccino nel contenere la trasmissione del virus nella comunità), oltre a mettere alla prova la resistenza del personale sanitario, già stremato dalle ripetute ondate del contagio. Ci sono poi le incertezze sulla durata dell’immunità conferita dai vaccini e sull’efficacia che avranno sulle nuove varianti che sono già emerse e su quelle che emergeranno in futuro. Se saremo fortunati, e la diffusione dell’infezione tornerà sotto controllo nel corso del 2021, ci dovremo confrontare con la cura delle altre patologie che sono state trascurate, oltre agli effetti di lungo termine della COVID-19, anche sulla salute mentale. E dovremo poi analizzare quanto è accaduto, dove abbiamo fallito. I sistemi sanitari occidentali si sono specializzati in cure costose e tecnologiche dimenticando gli interventi di prevenzione. Paesi con molti meno mezzi dei nostri hanno dimostrato di saper gestire meglio il contagio. Una lezione da non dimenticare soprattutto quando potremo cominciare a preparaci alle prossime epidemie, sperando di fare meglio [The Atlantic]

2 Cosa vuol dire l’accordo sulla Brexit per la scienza
Il 24 dicembre il Regno Unito e l’Unione Europea hanno raggiunto un accordo commerciale post Brexit, diventato valido dal 1 gennaio. L’accordo ha una serie di implicazioni sia per l’accesso ai fondi per la ricerca che per il movimento dei ricercatori tra Paesi dell’Unione e Regno Unito, molte delle quali hanno fatto tirare un sospiro di sollievo agli scienziati britannici ed europei. Il Regno Unito avrà accesso al nuovo programma quadro di finanziamento della ricerca della UE, Horizon Europe, anche se con lo status di Paese associato. Sempre con lo stesso status continuerà a fare parte del programma di ricerca sull’energia nucleare Euratom e del progetto ITER per la costruzione del primo reattore a fusione. Continuerà anche a far parte del programma Copernicus, il sistema di satelliti per l’osservazione della Terra che raccoglie dati per il monitoraggio del clima e per le previsione meteorologiche. Non verranno applicati dazi sugli strumenti e le forniture di laboratorio importate dall’UE. Riguardo agli studi clinici che coinvolgono ospedali in Paesi dell’Unione e del Regno Unito, la situazione è ancora incerta. Sono stati riconosciuti reciprocamente gli standard di qualità richiesti sui farmaci, ma l’Unione deve ancora decidere se il trattamento dei dati personali nel Regno Unito è adeguato. La nota più amara riguarda il programma Erasmus+, da cui il Regno Unito ha deciso di uscire per finanziare il Turing Scheme che permetterà ai suoi studenti di andare a studiare all’estero, ma non riguarderà gli studenti che dall’estero vorranno recarsi nel Regno Unito. L’immigrazione di personale altamente qualificato sarà regolata da un sistema a punti, mentre gli scienziati britannici che vorranno spostarsi nei Paesi dell’Unione si troveranno davanti un panorama di regole ancora molto frammentato [Nature]

3 In Ruanda il primo progetto africano di adattamento al cambiamento climatico finanziato col fondo verde dell’ONU
Nella provincia nordoccidentale di Gicumbi è in corso di sviluppo da poco più di anno il primo progetto del continente finanziato con circa 27 milioni di euro del Fondo Verde messo a disposizione dalle Nazioni Unite all’interno della convenzione quadro sul cambiamento climatico. La popolazione, principalmente agricoltori, è stata coinvolta nelle operazioni prima di terrazzamento dei territori colpiti da numerose frane e alluvioni, e poi di riconversione delle colture. Si tratta di un progetto pilota che, se si dimostrerà efficace, dovrebbe essere applicato su scala nazionale per permettere al Paese africano di rispettare l’impegno di riduzione delle sue emissioni di gas a effetto serra del 38% entro il 2030. Ma per raggiungere questo obiettivo il governo ruandese dovrà trovare 11 miliardi di finanziamento e probabilmente sarà costretto a cercare investitori stranieri «L’ecosistema complessivo della finanza verde è proibitivo. Eppure dobbiamo affrontare problemi urgenti», ha commentato un consulente del progetto di Gicumbi, spiegando che le procedure di accesso al Fondo verde sono estremamente lunghe e complicate e rischiano di lasciare fuori i Paesi in via di sviluppo [Le Monde]

4 I lavoratori di Google hanno fondato un sindacato
Il 4 gennaio 220 dipendenti di Google hanno annunciato di aver fondato un sindacato, la Alphabet Workers Union, aperto a tutti i lavoratori di Google e della compagnia che lo controlla, Alphabet. L’organizzazione non ha lo status giuridico di un vero e proprio sindacato, non ha cioè il potere di negoziare con i manager dell’azienda e non intende richiederlo per ora. Punta prima di tutto a ottenere la maggiore adesione possibile tra i dipendenti della società, che in tutto sono 100,000 in tutto il mondo, e concentrarsi soprattutto su temi di natura etica, come per esempio la sottoscrizione da parte di Google di contratti in ambito militare, i casi di molestie sessuali sul luogo di lavoro e l’equità del salario. È la prima grande azienda tecnologica in cui i lavoratori si organizzano in un sindacato e questo accade in un momento particolarmente delicato per Google, accusato di detenere una posizione illegittima di monopolio dal Governo degli Stati Uniti. Google finora si era differenziato dalle altre società del settore per una filosofia più aperta nella gestione dei suoi dipendenti, ma le cose sono cambiate e ne è prova la recente controversia sul licenziamento di Timnit Gebru, responsabile del gruppo di ricerca sull’etica nell’intelligenza artificiale [Vox]

5 Entra in vigore il Plan S sull’open access: sarà in grado rivoluzionare l’editoria scientifica?
Nel 2018 un gruppo di enti di finanziamento della ricerca, principalmente europei, ha lanciato il Plan S: gli scienziati che riceveranno fondi da questi enti dovranno rendere i risultati della loro ricerca liberamente accessibili a tutti dal momento della pubblicazione. Nonostante il consenso mostrato da molte grandi agenzie di finanziamento nel mondo, alla fine l’adesione al Plan S è stata piuttosto limitata e a oggi comprende solo le istituzioni responsabili per il 6% degli articoli pubblicati nel 2017. Se alcuni sostengono che l’impatto del piano sarà comunque importante perché sottoscritto dalle agenzie che pubblicano almeno un terzo dei lavori che appaiono sulle riviste più prestigiose e dunque il loro esempio avrà un grande impatto, altri ritengono che il meccanismo è troppo costoso per università e ricercatori e che molti non potranno permetterselo [Science]

6 Aggiornamenti COVID-19
×  Il 27 dicembre è cominciata in tutta Europa la somministrazione del vaccino Pfizer/BioNTech. Al 7 gennaio l’Italia ha ricevuto 438 750 dosi e ne ha somministrate 407 044 dosi, di cui 340 959 al personale sanitario e sociosanitario e 24 182 agli ospiti delle RSA. I dati, distinti per regione, categoria, sesso e fascia di età, vengono aggiornati quotidianamente e pubblicati qui [Report Vaccini Anti COVID-19]
×  Le vaccinazioni sono cominciate dal personale sanitario, ma per ora gli specializzandi non le riceveranno perché non hanno un contratto di lavoro dipendente con gli ospedali. Il personale amministrativo invece ha già potuto prenotarsi [La Repubblica]
×  I dati sulle vaccinazioni a livello internazionale possono essere consultati qui [Our World in Data]
×  Nel frattempo il 30 dicembre l’agenzia del farmaco del Regno Unito ha autorizzato, prima al mondo, il vaccino sviluppato da Oxford e AstraZeneca e le prime dosi sono state somministrate il 4 gennaio [BBC]
×  E il 6 gennaio l’agenzia europea del farmaco ha autorizzato il vaccino prodotto da Moderna [Le Monde]
×  I dati sulla sua efficacia sono stati pubblicati il 30 dicembre sul New England Journal of Medicine [NEJM]
× A metà dicembre le autorità sanitaria inglesi hanno reso noto che una nuova variante del SARS-CoV-2, denominata B.1.1.7, rappresentava una parte sempre maggiore delle nuove infezioni registrate nel Regno Unito, in particolare in alcune regioni. Allo stato attuale, gli scienziati sembrano concordare che la variante non è più letale, ma è più contagiosa, con un Rt superiore del 50% rispetto a quello della variante principalmente diffusa in Europa finora. Queste stime si basano su dati epidemiologici [Imperial College London]
× La diffusione di questa nuova variante è causa di preoccupazione tra gli scienziati, che temono possa rapidamente diventare la variante prevalente a livello globale e portare l’epidemia in una nuova fase, dalle caratteristiche imprevedibili [Science]
× La gravità dell’epidemia nel Regno Unito ha spinto il 4 gennaio il primo ministro Boris Johnson a ordinare un nuovo lockdown a livello nazionale. Inoltre, le autorità sanitarie stanno considerando di ritardare fino a 12 settimane la somministrazione del richiamo , per far sì che il maggior numero di persone riceva la prima dose il prima possibile. La farmaceutica BioNTech ha risposto che questa decisione non è supportata dai dati raccolti durante gli studi clinici, in cui i pazienti hanno ricevuto il richiamo a distanza di tre settimane dalla prima dose [Financial Times]
×  Il 5 gennaio le autorità cinesi hanno bloccato l’ingresso nel Paese del gruppo di esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità incaricati di investigare l’origine della pandemia, sostenendo che i loro visti non sono validi [The Guardian]
×  Da mesi sappiamo che i numeri relativi ai nuovi casi di infezione sono sottostimati rispetto a quelli reali, in particolare durante la prima ondata. Ma di quanto? Un nuovo studio pubblicato su Nature, relativo all’epidemia in Francia tra metà maggio e fine giugno, ha stimato che nei periodi di alta incidenza i casi ufficiali potrebbero essere stati il 10% di quelli effettivi [The Conversation]

Letture per il finesettimana #13

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’11 dicembre 2020]

Buon venerdì,
questa settimana parliamo di reti neurali che hanno bisogno di dormire per non allucinare, di open access in biologia, della capsula giapponese rientrata sulla Terra portando dei frammenti dell’asteroide Ryugu, dei nuovi ERC Consolidator Grant e degli aggiornamenti sui vaccini contro COVID-19.
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1 Anche le reti neurali hanno bisogno di dormire
Un gruppo di ricercatori del Los Alamos National Laboratory hanno osservato che esponendo la loro rete neurale artificiale a un segnale con caratteristiche simili alle onde lunghe che attraversano il nostro cervello durante il sonno profondo l’instabilità del loro sistema è scomparsa. Le reti neurali artificiali studiate da questi scienziati cercano di riprodurre il più fedelmente possibile il funzionamento dei neuroni biologici durante diversi tipi di processi di apprendimento. Nell’esperimento in questione la rete si allenava, in maniera non supervisionata, sul riconoscimento delle immagini. Dopo un certo tempo di attività la rete cominciava a sviluppare una sorta di allucinazioni, che sono scomparse non appena è stato imposto uno stato che riproduce quello del sonno profondo [Scientific American]

2 Il modello open access prende piede in campo biologico
La rivista open access eLife, lanciata nel 2012, richiederà di archiviare come preprint gli articoli che gli vengono sottoposti per la pubblicazione. Non solo: renderà pubblici i commenti dei revisori, anche nel caso in cui gli articoli non vengano accettati. Dietro questa decisione c’è Michael Eisen, editore-in-chief della rivista dal 2019. Secondo Eisen il modello dell’editoria scientifica è ancora basato sulla carta stampata e non si adatta più alle dinamiche introdotte da internet. La novità che propone per eLife, nella sua opinione, non fa che prendere atto di un cambiamento che è già avvenuto. Infatti, durante l’estate si sono resi conto che il 68% degli articoli che stavano revisionando per eLife era già stato pubblicato nei vari archivi aperti. Per ora Eisen afferma che questo non cambierà il modello di business della rivista, che può contare su importanti fonti di finanziamento come l’Howard Hughes Medical Institute, e che richiede 2500 dollari agli autori per ogni articolo pubblicato [Science]

3 La missione del Giappone sull’asteroide Ryugu termina con una caccia nell’entroterra australiano
Una capsula della navicella spaziale giapponese Hayabusa2 è rientrata nell’atmosfera terrestre sabato, dopo un viaggio durato sei anni per esplorare e raccogliere campioni da un asteroide chiamato Ryugu. L’atterraggio è avvenuto 450 chilometri a nord della città di Adelaide in Australia, in una zona desertica. Ma i ricercatori hanno dovuto faticare per individuare il punto esatto in cui l’oggetto, largo 40 cm, è atterrato all’interno di una zona migliaia di metri quadrati. Lunedì un aereo ha lasciato l’Australia per trasportare in Giappone i campioni raccolti dalla capsula, dove verranno studiati a fondo e in un secondo momento condivisi con altri ricercatori di tutto il mondo. Studiare l’acqua intrappolata nei minerali di Ryugu potrebbe aiutare a capire se l’acqua negli oceani della Terra proviene dagli asteroidi e se questi abbiano avuto un ruolo nel trasporto di materia organica sul nostro pianeta [The New York Times]

4 Più artefatti che organismi viventi
Il peso degli oggetti fabbricati dagli esseri umani eccederà entro la fine dell’anno quello degli organismi viventi. È questa la conclusione a cui sono giunti i ricercatori del Weizmann Institute of Sciences a Rehovot, in Israele, che dà una misura dell’impatto che la nostra specie ha avuto sul pianeta che abitiamo. Gli scienziati hanno misurato la massa di tutti gli oggetti costruiti dall’umanità a partire dal 1900, come bottiglie di plastica, mattoni e cemento utilizzati per la costruzione degli edifici e delle strade, e hanno osservato che questa quantità è raddoppiata ogni 20 anni circa. Contemporaneamente la biomassa è diminuita a causa della deforestazione e della conseguente scomparsa di molte specie animali. L’azione congiunta di queste due dinamiche porterà per la prima volta al sorpasso degli artefatti sugli organismi viventi alla fine del 2020, secondo le stime del gruppo israeliano. I numeri nella loro conclusione sono chiaramente soggetti a un certo livello di incertezza, ma la sostanza non cambia: siamo entrati in una nuova era, quella dell’Antropocene, in cui la presenza degli umani sulla Terra sarà visibile per milioni di anni nel futuro [BBC News]

5 ERC Consolidator Grant: i ricercatori italiani continuano a fuggire all’estero
Sono stati pubblicati i progetti vincitori di un ERC Consolidator Grant, uno dei prestigiosi strumenti di finanziamento assegnato dallo European Research Council ai ricercatori con almeno sette anni di esperienza di ricerca dopo il dottorato. Dei 327 vincitori, ben 47 sono italiani, posizionando il nostro paese al primo posto nelle statistiche sulle 39 nazionalità partecipanti. Di questi 47 progetti però, solo 17 saranno svolti in Italia, mentre gli altri 30 verranno portati avanti in istituzioni straniere. Al primo posto nella classifica delle nazionalità dei centri ospitanti ci sono, a pari merito, Germania e Regno Unito, con ben 50 progetti, segue la Francia con 34 e i Paesi Bassi con 29. Continua dunque la tendenza che si è verificata negli ultimi anni: la ricerca italiana di eccellenza, per essere finanziata, deve spostarsi all’estero [Wired.it]

6 Aggiornamenti COVID-19
× Il comitato di esperti esterno dell’FDA ha formalmente raccomandato che l’agenzia del farmaco USA approvi il vaccino anti-COVID-19 di Pfizer/BioNTech. È probabile che questo avverrà nei prossimi giorni [The New York Times]
× Pubblicati sul New England Journal of Medicine i dati di sicurezza ed efficacia del vaccino Pfizer/BioNTech [NEJM]
× Martedì è cominciata la campagna di vaccinazione in UK. La prima persona a ricevere il vaccino contro COVID-19 è stata una donna di 91 anni [The Guardian]
× Il tracciamento all’indietro potrebbe essere una strada promettente? [BBC]

Chi dovrebbe avere priorità per il vaccino?

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 27 novembre 2020]

Lunedì sono stati resi pubblici i primi dati di efficacia del vaccino sviluppato dalla società AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford, il terzo ad aver completato il suo studio di fase 3. I primi due sono quelli prodotti da Pfizer con BioNTech e da Moderna, che hanno dichiarato nelle scorse settimane un’efficacia del 95% nell’evitare infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2. Pfizer e BioNTech hanno inviato all’FDA la documentazione per l’approvazione in condizioni di emergenza il 20 novembre scorso.

Secondo le informazioni rese pubbliche finora, l’efficacia del vaccino di AstraZeneca e Oxford è del 70% in media, ma tra coloro che hanno ricevuto, sembra per errore, nella prima somministrazione mezza dose e solo nella seconda un’intera dose, l’efficacia sembra salire al 90%. Questi risultati hanno suscitato perplessità tra gli scienziati e gli investitori. Pare infatti che il gruppo in cui è stata misurata un’efficacia del 90% sia molto ristretto rispetto a quello totale, circa 3 000 soggetti, e non contenga persone sopra i 55 anni. Ieri la società farmaceutica ha annunciato che ripeterà lo studio di fase 3 con il dosaggio apparentemente più efficace (mezza dose nella prima somministrazione e un’intera dose nella seconda) su un campione più grande e più rappresentativo, ma che questo non ritarderà il processo di approvazione da parte delle autorità farmaceutiche.

Ma l’incognita del dosaggio migliore per il vaccino di AstraZeneca e Oxford è solo una delle tante a cui ci troviamo difronte in questo momento. Per nessuno di questi tre vaccini sappiamo infatti come varia con l’età il grado di protezione conferita – per il vaccino antinfluenzale si osserva una  perdita di efficacia sopra 60 anni. Né sappiamo se ci proteggeranno anche dall’infezione, impedendoci di trasmettere il virus oltre a limitare l’insorgenza della malattia. Non sappiamo neanche quanto durerà l’immunità conferita, così come del resto non sappiamo quanto tempo sono immuni le persone che si sono infettate e sono poi guarite.

Insomma, abbiamo poche certezze. Ma siamo certi del fatto che i vaccini (questi primi tre come gli altri in fasi più iniziali di sperimentazione) sono la nostra migliore chance per sopprimere questa pandemia che da ormai nove mesi ci costringe a rispettare regole rigide di distanziamento e igiene, che sta sfibrando i nostri operatori sanitari, e che a oggi ha causato la morte di quasi 1 425 000 persone, più di 52 mila solo in Italia. È importante quindi non sprecare questa chance.

Sappiamo che all’inizio la disponibilità delle dosi di vaccino sarà limitata. In Italia, ad esempio, se il vaccino di Pfizer e BioNTech venisse approvato, a gennaio arriverebbero 3,5 milioni di dosi, sufficienti a vaccinare 1,7 milioni di persone (ciascuna con una prima iniezione e poi un richiamo a distanza di alcune settimane). Quindi la domanda è: chi vaccineremo per primo? Per rispondere, diversi gruppi di ricercatori nel mondo si sono imbarcati in un’impresa ardua: simulare lo sviluppo delle campagne vaccinali durante l’evolversi dell’epidemia da COVID-19 e capire qual è la strategia più efficace per ridurre il numero di decessi o di nuove infezioni. In ciò che segue ragioneremo sulla minimizzazione del numero di decessi.

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Letture per il finesettimana #2

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 25 settembre 2020]

Buon venerdì,
questa settimana ci chiediamo se per salvare il pianeta dobbiamo diventare vegetariani, o almeno diminuire il nostro consumo di carne. Poi: immunità di gregge a Manaus; i precedenti storici dei movimenti anti-vaccini, anti-mascherina, anti-5G; degli effetti, non poi così strani, del nuovo coronavirus sul cuore; dei numeri che mancano sulla diffusione del virus nelle scuole e di una ricercatrice che ogni giorno per due anni e mezzo ha letto un articolo scientifico per puro piacere.
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1 Una ricercatrice ha letto un articolo scientifico al giorno per 899 giorni
Ogni giorno dal 1 gennaio 2018 al 17 giugno 2020 Olivia Rissland, biologa molecolare alla University of Colorado, ha letto un articolo scientifico e ne ha annotato i punti interessanti in un documento condiviso con i suoi colleghi di laboratorio. Gli articoli sono stati scelti perché suscitavano in lei interesse e curiosità e non appartengono necessariamente alla sua area di ricerca. “Non avrei mai immaginato 2 anni e mezzo fa quanto avrei imparato attraverso questo [esperimento] e come mi avrebbe reso una scienziata e una persona migliore”, ha commentato su Twitter [Nature Index]

2 Come l’industria sta cercando di strumentalizzare la conoscenza scientifica
Nasce in Francia la “maison de la science e des médias”, ma il modello britannico a cui si ispira sembra piuttosto uno strumento nelle mani dell’industria per mettere sotto tutela la conoscenza scientifica [Le Monde €]

3 Quanti contagi nelle scuole?
× In Italia i dati relativi ai contagi avvenuti in ambito scolastico non sono noti. Non è chiaro se le istituzioni li raccolgano ma non li comunichino o se non li raccolgano affatto. Nel frattempo un’iniziativa dal basso ha costruito un database e una mappa [Open Online]
× Anche negli Stati Uniti non c’è un sistema centralizzato che raccolga i dati relativi alla la diffusione delle infezioni da coronavirus all’interno delle scuole. Il New York Times ha provato a colmare le lacune facendo dei sondaggi nei diversi distretti scolastici di 8 stati [The New York Times]

4 La lezione da trarre nel dibattito in corso sui danni cardiaci causati dal COVID-19
Notizie e articoli scientifici hanno descritto un virus bizzarro che si comporta come nessun altro, una presunta malattia respiratoria che forse dovrebbe essere riconsiderata come malattia vascolare. Ma queste affermazioni sono esagerate. COVID-19 è una malattia grave che deve essere presa sul serio, ma non è poi così strana. Se sembra così è in parte perché è una malattia nuova ed estremamente diffusa, che sta attirando l’attenzione di centinaia di ricercatori [The Atlantic]

5 Immunità di gregge? Ecco cosa potrebbe succedere se non controllassimo la diffusione del virus
Nella città di Manaus, la capitale dello stato brasiliano di Amazonas, i contagi hanno raggiunto il picco 4 mesi fa e sono poi diminuiti drasticamente senza una valida spiegazione. Uno studio preliminare ha analizzato i campioni conservati nelle banche del sangue trovando che tra il 44% e il 66% dei donatori presenta gli anticorpi al SARS-CoV-2. Probabilmente il virus ha smesso di diffondersi perché non ha trovato più un numero sufficiente di soggetti suscettibili [MIT Technology Review]

6 Anti vaxxers
Le campagne vaccinali sono state storicamente avversate perché interpretate come tentativi dello Stato di controllare i cittadini, limitandone le libertà. Hanno creato tensioni sociali simili a quelle che osserviamo oggi in tutto il mondo. Il libro ‘Anti-vaxxers’ ci ricorda i precedenti storici delle strane alleanze – anti-vaccino, anti-mascherina, anti-5G, per esempio – che stanno ostacolando la salute pubblica in questo momento [Nature]

Letture per il finesettimana #1

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 18 settembre 2020]

Buon venerdì,
questa settimana parliamo di fosfina nell’atmosfera di Venere, incendi in California, di come anche le prove scientifiche più solide (figuriamoci quelle incerte) passino attraverso il filtro delle emozioni, il ‘vaccino di Oxford’ contro COVID-19, immunità dei pipistrelli e test rapidi.
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1 Trovati possibili segni di vita nelle nubi di Venere
Osservando la luce emessa dall’atmosfera di Venere, gli scienziati hanno rilevato la presenza della molecola fosfina a una concentrazione di 20 parti per miliardo. Attualmente gli unici processi chimici che conosciamo in grado di giustificare questa osservazione sono quelli di ossidoriduzione effettuati da microrganismi anaerobi [The Economist]

2 L’estensione degli incendi che hanno colpito la California quest’anno è dovuta al cambiamento climatico. Ma anche a una cattiva manutenzione delle foreste
Fino all’inizio del 1900 le foreste della Sierra Nevada venivano gestite con periodici incendi controllati per diminuire il rischio di devastanti incendi spontanei. La pratica venne abbandonata e, secondo i dati raccolti nel 2015, la foresta era più densa di un secolo prima. Ma non in salute. A causa del cambiamento climatico i periodi di siccità sono diventati sempre più frequenti e si è diffusa nella zona una specie letale di insetti. Gli alberi sono morti in grande quantità e cadendo al suolo si sono mescolati con la vegetazione sottostante creando uno strato di legna secca pronta a prendere fuoco. Riprendere la pratica degli incendi controllati adesso è difficile: il cambiamento climatico ha ridotto enormemente le giornate dell’anno con le condizioni meteo adatte (secche ma non troppo) [San Francisco Chronicle]

3 Quando i fatti generano in noi emozioni negative tentiamo di ignorarli
Le nostre emozioni filtrano le informazioni che riceviamo, anche se sono basate su solide prove scientifiche. E, quando l’argomento diventa questione di identità, essere più competenti o più esperti o più colti, finisce per esasperare questa tendenza. Tim Harford, l’undercover economist del Financial Times, ha pubblicato un nuovo libro in cui racconta qual è il nostro rapporto con i numeri che descrivono aspetti sensibili della realtà in cui viviamo. Il suo consiglio è di contare fino a 3 [The Guardian]

4 Cosa possono insegnarci i pipistrelli sull’immunità alla COVID-19?
Tra i virus che raggiungono gli umani tramite un salto di specie, quelli arrivati dai pipistrelli sono più virulenti rispetto a quelli originati da altri mammiferi. Eppure, per loro non rappresentano un grosso pericolo. Il sistema immunitario innato dei pipistrelli produce grandi quantità di interferone innescando la prima risposta all’attacco del virus e impedendogli di replicarsi (nei casi gravi di COVID-19 si è osservata una risposta ritardata e incontrollata del sistema immunitario innato). Inoltre, i virus che si sono evoluti insieme ai pipistrelli sono diventati resistenti a una delle risposte del sistema immunitario innato degli esseri umani: la febbre. Anche la comprensione della parte adattiva della risposta immunitaria sembra promettente per sviluppare trattamenti e vaccini [Financial Times]

5 Come hanno fatto Sarah Gilbert e il suo team di Oxford ad arrivare così lontano, così velocemente nello sviluppo di un vaccino contro la COVID-19?
“I tempi per ottenere i primi risultati sull’efficacia, obiettivo dello studio clinico di fase 3 attualmente in corso, dipendono dal livello di trasmissione del virus all’interno del gruppo di pazienti vaccinati. Quindi difficili da prevedere. Anche quando avremo dimostrato l’efficacia del vaccino, la strada sarà ancora lunga, dovremo non solo produrlo, ma anche spostarlo nel mondo e far sì che i centri vaccinali riescano a vaccinare le persone. È necessario quindi abbassare un po’ le aspettative delle persone” [Life sicentific – BBC Radio 4]

6 Quanto sono promettenti i test rapidi per la ricerca dell’antigene del virus SARS-Cov-2?
I test che cercano gli antigeni del nuovo coronavirus sono in corso di sviluppo in diversi Peaesi del mondo e in alcuni sono già stati approvati dalle autorità farmaceutiche. Più veloci ma meno sensibili rispetto al test che ricerca l’RNA virale nella saliva con la tecnica della PCR. Il risultato arriva in qualche decina di minuti ma la probabilità di identificare un positivo è tanto più piccola quanto più tempo è passato dalla prima manifestazione dei sintomi. Il rischio è di ottenere un senso di falsa sicurezza inducendo le persone a non rispettare i comportamenti utili a contenere il contagio [Nature]

Le notizie di scienza della settimana #71

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 12 settembre 2018]

Il ministro della salute della Repubblica Democratica del Congo Oly Ilunga Kalenga insieme agli amministratori locali accolgono una delegazione ONU a Beni, nella provincia del Nord Kivu, il 2 agosto 2018, dove è stata dichiarata una nuova epidemia di Ebola.
Una nuova epidemia di Ebola è stata dichiarata il 1° agosto nella provincia orientale del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Solo il 24 luglio le autorità sanitarie avevano dichiarato chiusa un’altra epidemia di Ebola, la nona negli ultimi 40 anni, che aveva colpito il nordovest del Paese all’inizio di maggio, ma era stata rapidamente controllata anche grazie all’utilizzo di un vaccino sperimentale. Al 3 settembre i decessi erano 82 e le persone raggiunte dal vaccino, somministrato secondo uno schema ad anelli concentrici, erano oltre 6 000. Resta comunque molto difficile intervenire nella zona, poiché tutta la provincia è interessata dal 2004 dal conflitto tra le milizie ribelli Allied Democratic Forces e l’esercito della RDC. La popolazione è infatti molto provata e alcuni rifiutano di condurre i parenti malati nei centri di cura, scoraggiati anche dall’isolamento cui verrebbero sottoposti e dall’aspetto degli operatori sanitari protetti dalle tute anti contaminazione. Ma la ONG ALIMA (The Alliance For International Medical Action) sta cercando di superare questi ostacoli, offrendo assistenza ai casi confermati di Ebola in un nuovo tipo di struttura, installato nella città di Beni. Qui i pazienti vengono ricoverati in unità individuali di isolamento chiamate CUBE, che permettono da una parte il contatto visivo con i parenti e dall’altra agli operatori di lavorare senza indossare le tute speciali. Nell’immagine: il ministro della salute della Repubblica Democratica del Congo Oly Ilunga Kalenga insieme agli amministratori locali accolgono una delegazione ONU a Beni, nella provincia del Nord Kivu, il 2 agosto 2018. Credit: MONUSCO Photos / Flickr. Licenza: CC BY-SA 2.0.

SMETTIAMO DI CREDERE (CIECAMENTE) NEGLI ALGORITMI

Nel suo libro “Hello World: Being Human in the Age of Algorithms”, appena pubblicato nel Regno Unito, la matematica Hannah Fry affronta il tema degli algoritmi e di come limitare i loro effetti negativi nella società. In primo luogo dovremmo smettere di riconoscere agli algoritmi un’autorità superiore. In secondo luogo potremmo programmarli in modo che sia esplicita l’incertezza che è contenuta nei loro risultati. I sistemi di riconoscimento facciale, per esempio, potrebbero indicare una serie di possibili identità e non una sola e lasciare la scelta finale agli esseri umani. Secondo Fry il risultato migliore si ottiene quando gli algoritmi lavorano insieme alle persone, come accade nei sistemi che analizzano le immagini delle mammografie per individuare possibili formazioni tumorali. Il software identifica un sottoinsieme di immagini in cui sospetta di vedere un cancro e le sottopone al vaglio del medico. [The Wall Street Journal; Hannah Fry]

Intanto alla fine di luglio negli Stati Uniti il senatore Mark Warner ha presentato una proposta di legge sulla regolamentazione dei social media e delle compagnie tecnologiche. La proposta rispetta l’approccio che da sempre la legislazione americana ha avuto su questi temi: non limitare l’accesso ai dati. Warner propone infatti di favorire l’ingresso di competitor nel mercato dei dati, permettendo agli utenti Facebook ad esempio, di consegnare i loro dati personali ad altre compagnie del settore. Sostanzialmente un tentativo di interrompere il monopolio delle big tech. Il secondo punto della proposta riguarda invece gli algoritmi, in particolare quelli utilizzati in alcuni settori sensibili, come il credito, la salute, le assicurazioni. I Governi, propone Warner, potrebbero infatti esigere che i software utilizzati in questi ambiti siano sottoposti a procedure di auditing che ne accertino la qualità e l’equità. [Bloomberg Opinion; Cathy O’Neil]

Ulteriori rischi connessi all’utilizzo, sempre più diffuso, di sistemi di decisione automatizzati potrebbero derivare dall’interazione degli algoritmi tra loro. Un esempio è quello dell’High Frequency Trading (HFT), lo scambio di titoli sul mercato azionario affidato a software che operano su scale di tempo molto piccole cercando di sfruttare la volatilità dei prezzi. L’interazione dei software di HFT appartenenti a vari fondi di investimento ha causato nel 2010 il cosiddetto flash crash, un intervallo di pochi minuti in cui due importanti indici azionari statunitensi persero il 9% del loro valore, riacquistandone gran parte nell’ora successiva. Secondo il fisico Neil Johnson, della George Washington University, altri mini flash crash si continuano a osservare sul mercato dal 2014. Situazioni analoghe si stanno verificano anche su Amazon nei sistemi che fissano i prezzi dei prodotti in vendita. Il rischio, insomma, è di perdere il controllo dell’insieme degli algoritmi che utilizziamo e che collettivamente si comportano come un organismo multicellulare in evoluzione. [The Guardian; Andrew Smith]

GLIFOSATO: DALLA SCIENZA AL TRIBUNALE E RITORNO

Il processo mediatico era stato celebrato a giugno del 2017 sui giornali di mezzo mondo. Il primo atto del processo ufficiale si è concluso invece lo scorso 10 agosto, quando il giudice Suzanne Ramos Bolanos della Corte Suprema della California ha condannato in primo grado l’azienda agrochimica Monsanto al pagamento di 289 milioni di dollari di risarcimento a Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni colpito da una forma terminale di linfoma della pelle. La giuria ha giudicato verosimile il nesso causale fra il glifosato contenuto nell’erbicida Round Up, commercializzato dall’azienda fin dagli anni ’70, e la malattia di Johnson, a cui restano ormai pochi mesi di vita. [The Guardian; Sam Levin] 

La sentenza, seppure solo di primo grado, incoraggia gli oltre 4 000 querelanti sparsi negli Stati Uniti che hanno fatto causa alla Monsanto e che attendono di andare a processo (il prossimo verrà celebrato all’inizio del 2019 a St.Louis, Missouri). All’origine di queste cause c’è anche la monografia pubblicata nel 2015 dalla International Agency for Research on Cancer (IARC), che ha dichiarato il glifosato contenuto nell’erbicida RoundUp probabile cancerogeno per gli esseri umani. Ed è proprio su questa monografia che i legali di Johnson hanno basato la loro argomentazione insieme, ovviamente, ai Monsanto Papers, che hanno usato per dimostrare che l’azienda sapeva da decenni degli effetti negativi del Round Up per la salute umana, ma ha taciuto e anzi ha ingaggiato scienziati che scrivessero studi favorevoli facendoli apparire indipendenti. [The Guardian; Carey Gilam] 

La Monsanto, da giugno una divisione della tedesca Bayer che la acquistata per 62,5 miliardi di dollari, promette di ricorrere in appello affermando che la sentenza ignora una grande mole di studi che smentiscono le conclusioni raggiunte dal gruppo di esperti autori della monografia IARC. Numerose sono infatti le critiche mosse al contenuto della monografia e ai metodi utilizzati da IARC per classificare le sostanze in categorie di cancerogenicità. Da una parte viene criticato il fatto che l’agenzia scelga di non considerare i livelli di esposizione e dunque di non indicare soglie di sicurezza al di sotto delle quali le sostanze possono essere considerate sicure. Dall’altra vengono chiamati in causa i pareri di altre autorevoli agenzie internazionali, come EFSA, ECHA e la stessa OMS, e i risultati recenti dell’Agricultural Health Study pubblicati a novembre del 2017. Su questi elementi si baserà molto probabilmente la linea degli avvocati di Monsanto nel processo di appello. [Scienza in rete; Chiara Sabelli]

RICERCA E SOCIETÀ

Questa settimana ha segnato l’inizio del nuovo anno scolastico in numerose regioni riaccendendo così il dibattito sull’obbligo vaccinale: è uno strumento utile a risolvere il problema del calo delle coperture? Secondo l’epidemiologo Vittorio Demicheli andrebbe accompagnato da altri interventi, che tengano in considerazioni le diverse cause del fenomeno. L’obbligo, imponendo sanzioni, è efficace solo per uno dei determinanti (il rifiuto ideologico), ma non si occupa degli altri due (difficoltà di accesso ai servizi vaccinali e diffidenza). Prima del decreto Lorenzin, che comunque ha il merito di stabilire uno standard comune a tutto il territorio nazionale, la legislazione italiana promuoveva l’adesione volontaria e consapevole. Per questa c’è bisogno del potenziamento dei servizi e di interventi culturali. In particolare è necessario che il dibattito sulle vaccinazioni ritrovi toni pacati e smetta di essere una guerra di religione. [Scienza in rete; Vittorio Demicheli]

Pubblicati a fine luglio i progetti vincitori di un ERC Starting Grant, il finanziamento dello European Research Council ai giovani ricercatori. L’Italia è seconda, per nazionalità dei vincitori, dopo la Germania, ma prima nella classifica dei Paesi che vedono i loro scienziati andare all’estero per spendere i fondi ottenuti. Dei 42 ricercatori italiani premiati, 27 hanno scelto come host institution un’università o un centro di ricerca straniero. Una situazione che si ripete uguale a se stessa da ormai diversi anni e trova spiegazione nella peggiore condizione dei laboratori e delle strutture italiane, ma anche nelle burocrazie respingenti. Se l’Italia registra il saldo negativo più elevato, la Gran Bretagna, malgrado Brexit, ottiene il saldo positivo più alto: 22 i ricercatori britannici vincitori di un grant, ma 67 i progetti che verranno svolti nel Regno Unito. [Scienza in rete; Pietro Greco]

Nella notte del 2 settembre un incendio ha distrutto il Museo Nazionale di Rio de Janeiro riducendo in cenere la quasi totalità delle collezioni che ospitava. Una tragedia annunciata secondo i ricercatori intervistati da Science. Tra i pezzi più significativi che si teme siano andati perduti c’è il cranio di Luzia, risalente a 11 000 anni fa, uno dei resti umani più antichi ritrovati nel continente americano. A giugno, durante i festeggiamenti per i 200 anni dall’inaugurazione, la Brazilian Development Bank aveva annunciato un finanziamento di 5 milioni di dollari per ristrutturare l’edificio del museo, compresi i suoi sistemi antincendio. Troppo tardi. Ora il governo promette di stanziare fondi di emergenza per ricostruirlo il prima possibile. [Science; Herton Escobar]

 

Le notizie di scienza della settimana #70

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 18 luglio 2018]

La copertina dell’ultimo numero di Science è dedicata a una importante scoperta realizzata da quindici osservatori, sulla Terra e nello spazio: un neutrino, rilevato dall’esperimento IceCube in Antartide il 22 settembre 2017, sarebbe stato emesso da un blazar, una galassia attiva con al centro un buco nero supermassiccio, distante 4,5 miliardi di anni luce dal nostro Pianeta. Potrebbe trattarsi del primo esempio di neutrino multimessenger astronomy, che sfrutta, come nel caso delle onde gravitazionali, diversi tipi di segnale per identificare un evento astronomico. La scoperta potrebbe aprire la strada verso la comprensione dell’origine dei raggi cosmici, una pioggia di protoni e altri nuclei di alta energia che investono la superficie terrestre. Nell’immagine: il laboratorio IceCube sotto le stelle, 2013. Credit: Felipe Pedreros, IceCube/NSF.

NUOVI E VECCHI VACCINI

Da mesi la Repubblica Democratica del Congo è alle prese con un’epidemia di poliomielite, causata da un virus di tipo 2 derivato dal vaccino trivalente somministrato nella regione per via orale. A causa della scarsa copertura vaccinale, infatti, i virus attenuati contenuti nel vaccino hanno accumulato mutazioni e riacquisito la loro virulenza. A oggi sono 29 i bambini paralizzati. Per far fronte all’emergenza l’OMS ha introdotto nella regione un vaccino monovalente che contiene il solo virus di tipo 2 in forma attenuata. Il medicinale verrà somministrato per via orale solo intorno ai casi segnalati. Resta tuttavia difficile raggiungere le persone che ne hanno bisogno, a causa della mancanza di infrastrutture adeguate.[Scienza in rete; Anna Romano] 

Le autorità sanitarie brasiliane sono in stato di allerta: in 312 città del Paese la percentuale di bambini sotto i 5 anni vaccinati contro la poliomielite è inferiore al 50% e in alcuni comuni non supera il 2%. Il timore è che la malattia ricompaia oltre vent’anni dopo l’eradicazione, dichiarata nel 1994 (ultimo caso registrato nel 1989). Anche la copertura vaccinale contro il morbillo è pericolosamente bassa, soprattutto al nord, dove sono stati registrati 450 casi e 2 vittime. Il problema è principalmente la scarsa diffusione e apertura dei centri vaccinali, che spesso osservano orari incompatibili con la vita di genitori lavoratori. Ma anche il movimento anti-vaccinista comincia ad avere un ruolo, seppure meno preoccupante rispetto a quanto accade in Europa e Stati Uniti. [Le Monde; Claire Gatinois] 

Stanno generando una cauta soddisfazione tra gli esperti i risultati dello studio clinico APPROACH, che ha testato diverse combinazioni di vaccini anti-HIV già esistenti su 393 soggetti sani in 12 centri clinici situati nell’Africa orientale, in Sudafrica, Tailandia e USA. Lo studio di fase 1/2a, con randomizzazione multicentrica, è stato condotto in doppio cieco e con un braccio placebo. Tutti i soggetti che hanno ricevuto il vaccino hanno manifestato una qualche forma di risposta immunitaria. Sulla base di questi risultati sarà iniziato uno studio di fase 2b (“Imbokodo”) su 2 600 giovani donne africane. Guido Poli, dell’Università Vita-Salute San Raffaele, commenta i risultati pubblicati su The Lancet il 6 luglio scorso. [Scienza in rete; Guido Poli]

MACHINE LEARNING

Un articolo, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Toxicological Sciences, riaccende il dibattito sulla possibilità che il machine learning possa sostituire i test su animali nel valutare la tossicità dei prodotti chimici. Un gruppo di ricercatori guidati da Thomas Hartung della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, ha sviluppato un software in grado di eseguire 10 test di tossicità su circa 10 000 prodotti chimici con risultati più robusti rispetto a quelli ottenuti con i test su animali. Il software è basato su un imponente database di risultati di test di tossicità raccolto dalla European Chemicals Agency e utilizza il metodo del read-across: basandosi sulla somiglianza tra le strutture chimiche dei nuovi prodotti con i vecchi prodotti, sfrutta i risultati dei test già esistenti. Il software verrà commercializzato da una compagnia privata, ma i dati saranno resi disponibili agli altri ricercatori. Uno sforzo simile è quello che sta portando avanti il comitato ICCVAM dei National Institutes of Health, che presto pubblicherà un computational consensus model ottenuto dalla collaborazione di 12 team di ricercatori durante un recente workshop. [Nature; Richard Van Noorden]

Negli Stati Uniti l’età media della diagnosi di disturbo dello spettro autistico è 4 anni, mentre potrebbe essere effettuata intorno ai 2 anni. Questo ritardo è dovuto in parte alla natura della malattia (dai sintomi molto eterogenei) e in parte alla difficoltà di ottenere velocemente un appuntamento con uno specialista nelle cliniche dedicate. A cambiare le cose potrebbe essere, ancora una volta, il machine learning e in particolare il deep learning. La sua caratteristica distintiva è quella di cogliere schemi che l’occhio umano faticherebbe a riconoscere e in particolare di individuare gruppi di differenze nel comportamento dei bambini malati rispetto ai sani, piuttosto che singole differenze. Ma occorre cautela. Prima di tutto perché è ancora molto difficile raccogliere campioni di dati sufficientemente grandi e significativi (sia dati sul comportamento che sulla struttura del cervello). E in secondo luogo non è affatto scontato che, se questi algoritmi fossero messi alla prova fuori dai laboratori, sarebbero in grado di cogliere le sfumature spesso sottili che caratterizzano questa condizione. [The Atltantic; Jeremy Hsu e SPECTRUM]

RICERCA E SOCIETÀ

L’11 luglio scorso, nell’illustrare le sue linee programmatiche alle commissioni competenti di Camera e Senato, il nuovo Ministro dell’istruzione, università e ricerca Marco Bussetti ha dichiarato l’intenzione di costituire un’Agenzia Nazionale della Ricerca, che svolga una funzione di stretto coordinamento tra gli Enti Pubblici di Ricerca, sul modello di quella proposta dal Gruppo 2003. Le sue dichiarazioni hanno destato più di una perplessità tra i membri del Gruppo. L’agenzia che il Gruppo 2003 propone da diversi anni dovrebbe avere il compito di supervisionare la distribuzione dei fondi destinati alla ricerca competitiva e non gli indirizzi scientifici degli Enti. Come dice Pietro Greco su Il Bo Live, gli Enti cui fa riferimento il Ministro hanno nature molto diverse tra loro: ci sono quelli che si occupano solo di ricerca di base, quelli specializzati in certi settori e con vocazione fortemente internazionale, infine quelli che offrono servizi tecnici altamente specializzati di supporto per le istituzioni e la politica. [Il Bo Live; Pietro Greco]

I criteri di valutazione basati sulla bibliometria penalizzano la ricerca biologica al banco, che di conseguenza riceve finanziamenti insufficienti. Nel nostro Paese, spiega il microbiologo dell’Università di Bologna Davide Zannoni, questo ha causato una migrazione verso la ricerca “in silico”, che si è rivelata più produttiva e veloce nella generazione di dati e quindi di pubblicazioni. Per salvare la ricerca biologica al banco in Italia c’è bisogno di un’inversione nella politica degli investimenti per la ricerca di base e un cambio dei criteri di valutazione dei ricercatori. [Scienza in rete; Davide Zannoni]

Le discipline scientifiche e tecnologiche hanno molto successo su YouTube. Si moltiplicano i canali dedicati a questo argomento, ma sono ancora una minoranza quelli gestiti da donne. Colpa dei commenti lasciati dagli utenti, secondo uno studio condotto da Inoka Amarasekara e Will Grant del Centre for the Public Awareness of Science presso la Australian National University. Dopo aver analizzato 23 0000 commenti, i due ricercatori hanno constatato che quelli riguardanti l’aspetto fisico sono il 4,5% per i canali gestiti da donne contro l’1,4% degli uomini. I commenti sessisti o di natura sessuale sono il 3% per le donne e solo lo 0,25% per gli uomini. I risultati, pubblicati sulla rivista Public Understanding of Science, confermano le conclusioni ottenute da uno studio del 2014, che aveva analizzato i commenti diretti ai TED Talks. [The New York Times; Adrianne Jeffries]

Il vaccino che superò il muro della guerra fredda

La storia del vaccino contro la poliomielite nasce negli Stati Uniti nei primi anni 50 del novecento. Il giornalista William Swanson la ha raccontata in questo articolo su Scientific American. Mentre la contrapposizione con l’Unione Sovietica era ormai chiara e lo spettro di una guerra nucleare diventava sempre più minaccioso, un nemico interno spaventava gli americani: la poliomielite. Era ormai noto che a causarla è un virus, che raggiungendo l’intestino attraverso il canale alimentare, si infiltra nel flusso sanguigno e colpisce infine il sistema nervoso centrale. L’immagine dei bambini con gli arti ritorti, distesi sulle schiene senza possibilità di muoversi, tormentava gli americani. Due scienziati, uno americano e l’altro sovietico nel giro di pochi anni, misero a punto un vaccino in grado sostanzialmente di eradicare la malattia. La loro collaborazione, oltraggiosa per i politici dell’epoca, portò a una delle più importanti conquiste della medicina nel novecento, salvando innumerevoli vite.

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