Cellule T e la strada verso un vaccino universale contro i coronavirus

[pubblicato su Scienza in rete il 28 gennaio 2022]

Quando Omicron è emersa in Sudafrica a fine novembre, i ricercatori del La Jolla Institute for Immunology (LJI) a San Diego in California avevano un vantaggio: saper preparare i reagenti necessari a valutare la tenuta dell’intera risposta immunitaria delle persone vaccinate nei confronti della nuova variante del SARS-CoV-2.

Il grande numero di mutazioni presenti nella regione della proteina spike chiamata receptor binding domain lasciava intuire che gli anticorpi prodotti dopo aver ricevuto i vaccini formulati sulla base della virus ancestrale, quello isolato a Wuhan alla fine del 2019, avrebbero fatto fatica a riconoscere Omicron e quindi a bloccare l’infezione.

Le speranze del gruppo coordinato da Alessandro Sette, Daniela Weiskopf e Shane Crotty erano le cellule T, la componente della risposta immunitaria che coordina l’attivazione delle cellule B inducendole a produrre anticorpi al momento di un nuovo incontro col virus ma che è anche in grado di riconoscere le cellule infettate ed eliminarle.

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Omicron corre: fondamentali i richiami

[pubblicato su Scienza in rete il 19 dicembre 2022]

Nell’aggiornamento pubblicato venerdì sulla diffusione della variante Omicron in Inghilterra, la UK Health Security Agency (UKSHA), l’agenzia di salute pubblica britannica, ha stimato che dei tamponi positivi effettuati il 14 dicembre, il 54,2% siano da attribuire alla variante Omicron. La situazione non è uniforme: Londra sembra essere più avanti del resto della nazione, con Omicron responsabile di più dell’80% dei nuovi contagi. Ma il dato più preoccupante riguarda la velocità con cui la variante si sta diffondendo e sta sostituendo Delta. Due giorni prima, il 12 dicembre, la prevalenza era al 33% e un giorno prima al 42%. In tutte le regioni inglesi tranne quella sudoccidentale, il tempo di raddoppio dei casi di Omicron è inferiore a due giorni, nella regione di Birmingham è in media di un giorno e mezzo. Per confronto, tra fine maggio e inizio luglio quando la Delta ha investito il paese rimpiazzando Alfa, lo studio REACT-1 condotto dall’Imperial College stimava un tempo di raddoppio di 17 giorni.

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Omicron raddoppia ogni due giorni nel Regno Unito. Da noi? Non lo sappiamo

[pubblicato su Domani il 18 dicembre 2021]

  • Omicron è la variante del Sars-CoV-2 più trasmissibile che abbiamo visto finora, e con la maggiore capacità di eludere la risposta immunitaria sviluppata dopo vaccinazione o infezione naturale.
  • Due dosi di vaccino offrono una protezione estremamente ridotta dal contagio, mentre sembrerebbe che quella dalla malattia grave resti sostanziale, almeno per i vaccini a mRna. Una terza dose di Pfizer sembra riportare la protezione sia dal contagio sia dalla malattia grave.
  • E in Italia cosa sta succedendo? Non è chiaro se stiamo raccogliendo i dettagli dei risultati dei test Pcr sui tamponi positivi, che ci permetterebbero di capire anche solo approssimativamente come stanno le cose. Se lo stiamo facendo questi dati non sono pubblici. L’Istituto superiore di sanità, che abbiamo contattato per un commento, non ha risposto alle nostre richieste.

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Immagine di copertina: Number 10 (CC BY-NC-ND 2.0).

Vaccino, a chi serve davvero la terza dose e perché sappiamo così poco sugli effetti

[pubblicato su Domani il 9 ottobre 2021]

  • Lunedì, nel raccomandare la terza dose per le persone immunocompromesse, l’agenzia del farmaco europea EMA ha considerato due studi su pazienti con trapianto di organo solido.
  • Per queste popolazioni particolari, si hanno a disposizione solo informazioni riguardo l’immunogenicità dei vaccini ma non riguardo l’efficacia verso l’infezione o le forme severe o letali della malattia. In altre parole non si può stimare di quanto i vaccini riducano il rischio di infettarsi e ammalarsi.
  • Tra le popolazioni meno numerose per cui viene raccomandata la somministrazione della terza dose c’è quella delle persone con difetti congeniti del sistema immunitario.

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Immagine di copertina da Pixnio.

Covid, la lezione della Gran Bretagna: i vaccini non bastano a fermare l’epidemia

[pubblicato su Domani il 26 ottobre 2021]

  • Fare previsioni sull’epidemia in questo periodo è estremamente difficile, più di quanto non fosse un anno fa. Le variabili in gioco sono molte di più: la velocità e l’entità della diminuzione di efficacia dei vaccini, il ritmo della campagna per i richiami, l’evoluzione nei comportamenti individuali.
  • L’assenza di misure di sicurezza nelle scuole inglesi ha fatto crescere l’incidenza del contagio nella fascia 12-17 anni (n Scozia, dove le mascherine sono obbligatorie per insegnanti e studenti delle scuole secondarie, l’incidenza tra i ragazzi è in discesa).
  • I ragazzi stanno ora trainando la ripresa dell’epidemia anche tra i più anziani, più vulnerabili perché tra i primi a essere stati vaccinati.

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Immagine di copertina di Number 10 (CC BY-NC-ND 2.0).

Quanto dura la protezione dei vaccini? Cosa dicono i dati sull’Italia

[pubblicato su Domani il 22 ottobre 2021]

  • I dati epidemiologici indicano una flessione nell’efficacia dei vaccini soprattutto tra gli anziani e in qualche caso anche verso le forme gravi della malattia.
  • Per fortuna gli immunologi in laboratorio osservano una risposta durevole, robusta e che continua a maturare anche a mesi dalla vaccinazione.
  • Ad agosto, però, Israele ha stimato che l’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech nell’evitare le forme gravi della malattia negli over 65 che avevano ricevuto la seconda dose a gennaio e febbraio era scesa da 95 per cento a 60.

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Immagine di copertina di Raimond Spekking (CC BY-SA 4.0).

Quanto dura la protezione offerta dai vaccini contro Covid-19?

[pubblicato su Scienza in rete il 22 ottobre 2021]

Un elemento determinante per cercare di capire in quale direzione stia procedendo l’epidemia di Covid-19, soprattutto nei paesi occidentali che hanno vaccinato percentuali elevate della popolazione, è la durata dell’immunità conferita dai vaccini. La domanda è ancora aperta dal punto di vista scientifico e i ricercatori stanno provando a rispondere sulla base dei dati epidemiologici raccolti sul campo da una parte e di quelli immunologici raccolti in laboratorio dall’altra.

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Cosa fare con il richiamo: intervista a Stefania Salmaso

[pubblicato su Scienza in rete il 9 ottobre 2021]

L’8 ottobre, il Ministero della Salute ha emesso una circolare con cui ha esteso a tutti gli over 60 la raccomandazione per il richiamo ai vaccini anti-Covid-19 da somministrare ad almeno sei mesi dalla seconda dose. La decisione arriva a due giorni dalla pubblicazione del quarto rapporto sull’efficacia dei vaccini da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, che però ha rilevato una diminuzione dell’efficacia solo nelle popolazioni vulnerabili e, leggermente, tra gli over 80. Per questi due gruppi, il Ministero aveva già dato indicazione il 14 e il 27 settembre della necessità di ricevere una terza dose per completare il ciclo vaccinale e una dose di richiamo, rispettivamente.

L’analisi dell’Istituto è basata su 29 milioni di persone vaccinate tra il 27 dicembre 2020 e metà agosto 2021. Le notizie sono buone: nella popolazione generale non si osserva, a sei mesi dalla somministrazione della seconda dose, una riduzione significativa dell’efficacia dei vaccini nell’evitare l’infezione (89%) il ricovero in reparto ordinario o in terapia intensiva (96%) e la morte (99%). Una flessione nella protezione conferita dai vaccini si osserva solo nei gruppi con sistema immunitario debole (passa dal 75% al 52% a 4-7 mesi dalla seconda dose) e nelle persone sopra gli 80 anni e i residenti delle RSA (resta comunque superiore all’80% a 7 mesi dalla seconda dose).

L’analisi ha anche confrontato l’efficacia dei vaccini nella fase epidemica dominata dalla variante Alfa con quella dominata dalla variante Delta. Come osservato anche in altri paesi, i vaccini sembrano perdere forza contro la Delta rispetto alla Alfa: l’efficacia nell’evitare l’infezione passa dall’84% al 67%. Tuttavia, la protezione verso la malattia grave resta molto elevata in entrambi i periodi, 92% nella fase dominata da Alfa e 89% nella fase dominata da Delta. Difficile dire, sottolineano i ricercatori dell’Istituto, se la perdita di efficacia sia dovuta a un declino dell’immunità nel tempo, soprattutto nella popolazione vaccinata all’inizio della campagna, oppure a un’abilità biologica della variante Delta di evadere parzialmente la risposta immunitaria suscitata dai vaccini che, ricordiamo, sono stati formulati sulla base del ceppo virale circolante a Wuhan all’inizio della pandemia.

Lunedì l’Agenzia europea del farmaco (EMA) ha espresso il suo parere riguardo l’opportunità di somministrare una terza dose come richiamo nella popolazione generale. EMA ha confermato che è raccomandata la somministrazione della terza dose a 4 settimane dalla seconda nelle persone con sistema immunitario debole e deve essere intesa come completamento del ciclo vaccinale primario, mentre ha lasciato alle autorità sanitarie nazionali la decisione sul richiamo nella popolazione generale, dichiarando solo che la sua somministrazione a sei mesi di distanza dalla seconda è sicura.

Ne abbiamo parlato con Stefania Salmaso, epidemiologa delle malattie infettive, fino al 2015 a capo del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore di Sanità.

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Infezioni, contagio, mascherine: cosa rischiano davvero i vaccinati

[pubblicato su Domani il 1 agosto 2021]

  • I vaccini che abbiamo a disposizione sono estremamente efficaci nell’evitare le forme gravi della malattia, questo è vero anche con la variante Delta.
  • Chi si infetta ad almeno due settimane dal completamento del ciclo vaccinale sviluppa prevalentemente sintomi lievi, ma non è chiaro se e quanto sia contagioso.
  • I dati relativi a un focolaio di 469 infezioni nella cittadina di Provincetown, nello stato del Massachusetts, sembrano indicare che il carico virale dei vaccinati che si infettano sia simile a quello dei non vaccinati che si infettano.

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Immagine di copertina di byronv2 (CC BY-NC 2.0).

Cosa sappiamo sulla variante Delta e l’efficacia dei vaccini

[pubblicato su Domani il 23 luglio 2021]

  • La variante Delta è notevolmente più trasmissibile della variante Alfa, che è a sua volta più trasmissibile della variante che ha causato la prima ondata dell’epidemia in Europa, quella della primavera del 2020. Se una persona infetta nella prima ondata, in assenza di misure di distanziamento sociale, contagiava in media tre persone, chi si contagia oggi con Delta trasmette in media il virus a otto persone.
  • Uno studio dell’agenzia di salute pubblica inglese ha stimato che l’efficacia di evitare l’infezione sintomatica con Delta di una singola dose di AstraZeneca o Pfizer-BioNTech è notevolmente ridotta rispetto a quella che si osservava con Alfa (scesa da 49% a 30% per AstraZeneca e da 48% a 36% per Pfizer-BioNTech), l’efficacia di due dosi di vaccino rimane invece molto elevata (scesa da 75% a 67% per AstraZeneca e da 94% a 88% per Pfizer-BioNTech).
  • Stime preliminari suggeriscono che la protezione dai decorsi gravi resta invariata e pari circa al 94%. Il virus ha mostrato di avere spazio per evolvere guadagnando in trasmissibilità e in capacità di evadere la risposta immunitaria stimolata dai vaccini, anche se in modo marginale. Limitare la circolazione del virus è cruciale per evitare che i vaccini diventino armi spuntate

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L’immagine di copertina è di . Arne Müseler/Wikimedia Commons. Licenza: CC-BY-SA-3.0 DE.