Sono un robot e vengo in pace

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 18 settembre 2020]

La scorsa settimana il Guardian ha pubblicato un editoriale scritto dal software per la generazione di linguaggio GPT-3, il più potente in circolazione. I redattori hanno fornito a GPT-3 alcune frasi di input, il cosiddetto prompt, che descrivevano il compito assegnato: comporre un saggio che convincesse i lettori che l’intelligenza artificiale non è una minaccia per l’umanità. Leggendo il testo, appare plausibile che sia stato scritto da un essere umano, anche se gli argomenti a sostegno della tesi si susseguono in maniera un po’ sconnessa (GPT-3 ha svolto il compito otto volte e i redattori hanno combinato e corretto queste otto versioni ottenendone una finale, un po’ come avrebbero fatto per un editoriale scritto da una persona).

La pubblicazione del Guardian ha riacceso il dibattito cominciato poco prima dell’estate, quando un gruppo di esperti ha avuto accesso a GPT-3, l’ultimo generatore di linguaggio della società OpenAI. Il dibattito ruota attorno a due domande. La prima è: quanto siamo vicini a sviluppare una intelligenza artificiale generale? Con l’espressione intelligenza artificiale generale (in inglese artificial general intelligence, AGI) ci si riferisce a una macchina con i poteri di apprendimento e di ragionamento della mente umana. La seconda domanda è: GPT-3 rappresenta un pericolo per l’umanità? Senza l’ambizione di voler rispondere a queste due domande – che francamente corrono il rischio di suonare mal poste, le prendiamo come pretesto per chiederci quali direzioni stia prendendo la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale e quale sia il nostro rapporto con l’automazione, sia come individui che come società. La prima ci permetterà infatti di capire quanta importanza stanno acquisendo i dati a discapito della teoria. La seconda invece ci spingerà ad analizzare gli aspetti politici e sociologici di questa area.

Continua a leggere Sono un robot e vengo in pace