Cosa dice il Digital Services Act approvato dal Parlamento europeo

[pubblicato su Scienza in rete il 30 aprile 2022]

All’alba di sabato 23 aprile il Parlamento europeo insieme al Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato il suo rapporto sul Digital Services Act (DSA), il regolamento proposto un anno fa dalla Commissione europea per regolare i servizi digitali che agiscono come intermediari tra i cittadini dell’Unione e prodotti, contenuti o servizi. Si tratta delle piattaforme per gli acquisti online, dei social network o dei motori di ricerca. Nell’ambito del DSA rientra anche l’utilizzo di algoritmi da parte delle istituzioni pubbliche, come forze dell’ordine, tribunali, amministrazioni e servizi sanitari.

«Insieme a Dragoş Tudorache abbiamo lavorato per inserire nella bozza i punti su cui c’era già un forte accordo», ha dichiarato Brando Benifei, europarlamentare del Partito Democratico durante l’AI summit organizzato da POLITICO poche ore prima che il documento venisse pubblicato. Benifei è relatore della proposta di regolamento insieme all’eurodeputato rumeno Tudorache del gruppo liberale Renew Europe.

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L’Europa propone un certificato verde digitale per vaccinati, guariti e negativi

[pubblicato su Scienza in rete il 21 marzo 2021]

Cercai invano un posto da contabile. Nel mese di giugno le attività commerciali si fermavano in quella regione. Tutti quelli che potevano permetterselo, lasciavano quel cimitero di febbre gialla. Assumere un giovane non acclimatato sarebbe stata una pessima decisione: o sarebbe morto oppure, molto probabilmente, lo avrebbe colpito una malattia devastante.

Così scriveva l’immigrato tedesco Gustav Dresel nel diario “Houston Journal: Adventures in North America and Texas, 1837-1841” riguardo ai suoi vani tentativi di trovare lavoro a New Orleans alla fine degli anni ’30 dell’Ottocento senza essere “acclimatato”, cioè senza essere sopravvissuto alla febbre gialla. Essere o meno acclimatati in quel periodo voleva dire trovare o non trovare lavoro, sposarsi o no e, per gli schiavi, valere di più o di meno. Come ha scritto la storica di Stanford Kathryn Olivarius quasi un anno fa sul New York Times, la richiesta di immunità alla febbre gialla non creò le disuguaglianze nella New Orleans di quel periodo, ma di certo le esasperò, spingendo addirittura alcuni a cercare di ammalarsi affollando abitazioni anguste, o saltando nel letto dove qualcuno era appena morto per via dell’infezione.

Le parole di Olivarius, sollecitate dal dibattito nato all’inizio della pandemia di COVID-19 riguardo la possibilità di istituire dei passaporti di immunità, ritornano interessanti in questi giorni.

Mercoledì la Commissione Europea ha proposto l’istituzione di un “certificato verde digitale” che permetta di spostarsi tra gli stati membri dell’Unione senza rispettare la quarantena all’arrivo. Il certificato potrà essere ottenuto dimostrando di cadere in uno tra questi tre casi: aver contratto il virus non più di sei mesi prima ed essere guariti, essere stati vaccinati oppure aver ottenuto un risultato negativo sottoponendosi a un test diagnostico (RT-PCR o antigenico rapido).

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Letture per il finesettimana #24

[pubblicato su Scienza in rete il 12 marzo 2021]

Buon venerdì,
questa settimana parliamo della pressione a cui sono state sottoposte le ricercatrici nei primi sei mesi della pandemia divise tra compiti di cura della famiglia e lavoro, degli impatti del disastro nucleare di Fukushima di dieci anni fa sulla salute degli abitanti della zona, del tempo necessario perché i veicoli elettrici diventino più di quelli a benzina negli Stati Uniti, di un software per l’analisi di tracce incomplete di DNA utilizzato in ambito forense, della ritrattazione dell’articolo del 2018 che per primo aveva documentato l’esistenza delle particelle di Majorana e diamo gli ultimi aggiornamenti su COVID-19. Buona lettura (per segnalare questa newsletter agli amici ecco il link per l’iscrizione)

1 «Sull’orlo di un esaurimento nervoso». Un rapporto della NASEM documenta la pressione a cui la pandemia ha sottoposto le ricercatrici
Sin dall’inizio della pandemia ricercatori e politici hanno lanciato l’allarme: le donne avrebbero pagato il prezzo più alto in termini di fatica fisica e psicologica. In questo le ricercatrici non fanno eccezione. La National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine ha curato un rapporto che raccoglie le testimonianze di ricercatrici a vari livelli di carriera riguardo i primi sei mesi della pandemia. Le parole delle ricercatrici sono estremamente toccanti e riguardano le difficoltà nell’assolvere contemporaneamente ai compiti di cura dei figli e a quelli accademici, in una continua alternanza dei ruoli, la paura di “rimanere indietro” e la sensazione di non essere state appoggiate dalle istituzioni per cui lavorano [Science]

2 Dieci anni fa la catastrofe nucleare di Fukushima
L’11 marzo del 2011 uno tsunami colpì la costa nordoccidentale del Giappone, causando 18 000 vittime e inghiottendo la centrale nucleare Fukushima Diichi. Un rapporto delle Nazioni Unite non attribuisce alcuna morte aggiuntiva derivante dall’esposizione della popolazione alle radiazioni, solo sei casi di cancro tra i lavoratori sono stati ricondotti all’incidente. Gli abitanti della zona vicino alla centrale furono esposti a livelli di radiazione da 10 o 100 volte inferiori rispetto a quelli di Chernobyl e dunque è possibile che gli effetti si vedranno nel lungo periodo. Ma l’evacuazione delle case, la contaminazione del suolo e delle acque, e i danni economici hanno avuto degli effetti sulla salute della popolazione [Le Monde]

3 Fra quanto tempo le auto elettriche domineranno le strade americane?
Dei 250 milioni di veicoli che oggi percorrono le strade degli Stati Uniti, meno dell’1% è elettrico. I produttori di automobili dicono che nel 2035 un quarto della loro produzione sarà elettrica, ma visto che i vecchi veicoli durano a lungo questo porterà la percentuale intorno al 13% e il 50% non sarà toccato neanche nel 2050, anno in cui Biden dice di voler raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di gas serra. L’obiettivo potrebbe essere realizzato solo se la vendita di automobili a benzina venisse vietata a partire dal 2035 [The New York Times]

4 Due tribunali negli Stati Uniti chiedono di analizzare un algoritmo di analisi del DNA usato in ambito forense
Si tratta del software TrueAllele, commercializzato dalla società Cybergenetics, che processa tracce di DNA incomplete rinvenute sulla scena del crimine e calcola la probabilità che queste appartengano a una specifica persona. Finora l’algoritmo non è mai stato visto da nessuno, neanche gli autori delle pubblicazioni in cui ne è stata valutata l’accuratezza lo conoscono. Ora due tribunali, uno in Pennsylvania e l’altro in New Jersey, hanno chiesto alle procure che lo hanno utilizzato di consegnare il codice. Non verrà reso pubblico ma in principio gli avvocati della difesa potranno chiedere l’intervento di esperti che lo esaminino per capire se contiene errori o inconsistenze [The Markup]

5 Ritrattato un articolo del 2018 che dimostrava l’esistenza delle particelle di Majorana
Le particelle di Majorana sono un particolare tipo di fermioni la cui esistenza è stata ipotizzata per la prima volta da Ettore Majorana nel 1937. Le loro proprietà le hanno rese interessanti per il settore della computazione quantistica e Microsoft ha investito molto in questa tecnologia. La prima prova della loro esistenza era arrivata nel 2018 da un esperimento realizzato in un laboratorio di Microsoft in Olanda che aveva rilevato un particolare segnale nella resistenza elettrica di una guida di dimensioni nanometriche composta da una combinazione di materiale semiconduttore e superconduttore. I risultati erano stati pubblicati su Nature. Tuttavia lo scorso anno un altro gruppo di ricercatori aveva espresso dei dubbi sull’autenticità di quel segnale, chiedendo di rivalutare i dati e di ripetere le misure in altre condizioni sperimentali. La rivista aveva quindi emesso una “editorial expression of concern” e gli autori dell’articolo erano stati obbligati a rivedere le loro conclusioni. Questa procedura di revisione ha confermato i dubbi e ha portato alla ritrattazione dell’articolo perché “mancante di sufficiente rigore scientifico” [Nature]

6 Aggiornamenti COVID-19
×  EMA approva il vaccino Janssen (gruppo Johnson&Johnson) per l’uso in condizioni di emergenza [European Medicines Agency]
×  Danimarca, Norvegia e Islanda hanno sospeso le vaccinazioni con AstraZeneca per via delle indagini in corso in Danimarca su una serie di casi di embolia in persone che avevano ricevuto la prima dose. L’Italia, insieme ad altri paesi europei, ha bloccato solo le somministrazioni delle dosi appartenenti a uno specifico lotto. EMA ha dichiarato: il farmaco è efficace e sicuro, continuare con le somministrazioni durante le indagini [The Guardian]
×  Uno studio del King’s College indica che ritardare il richiamo del vaccino Pfizer non è consigliabile per i pazienti oncologici [The Guardian]
×  I CDC autorizzano chi si è vaccinato a incontrarsi senza indossare la mascherina [Le Monde]
×  Le donne sembrano avere più effetti collaterali degli uomini dopo il vaccino [The New York Times]
×  Le donne incinte hanno un decorso della COVID-19 più grave di quelle non incinte [The Conversation]

L’algoritmo di Deliveroo è discriminatorio secondo il tribunale di Bologna

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’8 gennaio 2021]

Il 30 dicembre il tribunale di Bologna ha emesso un’ordinanza, firmata dalla giudice Chiara Zompì, che definisce discriminatorio l’algoritmo utilizzato da Deliveroo, piattaforma di consegna del cibo a domicilio, per gestire le prenotazioni delle sessioni di lavoro da parte dei rider, condannando l’azienda a pagare 50 000 euro di risarcimento alle organizzazioni sindacali che hanno fatto ricorso oltre a sostenere le spese legali (il testo dell’ordinanza è consultabile qui).

«È probabilmente il primo caso in cui un algoritmo viene chiamato a comparire in tribunale e ritenuto illegittimo in Europa nel rapporto tra privato e privato», commenta Mario Guglielmetti, legale presso lo European Data Protection Supervisor (EDPS), l’autorità europea indipendente per la protezione dei dati personali. E aggiunge «esistono diversi precedenti riguardanti algoritmi utilizzati da soggetti pubblici, come ad esempio il sistema SiRy che stimava la probabilità dei cittadini olandesi di commettere frode ai danni dello Stato, sospeso a febbraio dalla corte distrettuale dell’Aia perché accusato di violare i diritti umani. Il pronunciamento del tribunale di Bologna è il primo in cui un sistema automatico viene considerato illegittimo nel rapporto tra due soggetti privati, come sono da considerarsi Deliveroo e i riders, che l’azienda inquadra come collaboratori autonomi»1.

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Le notizie di scienza della settimana #71

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 12 settembre 2018]

Il ministro della salute della Repubblica Democratica del Congo Oly Ilunga Kalenga insieme agli amministratori locali accolgono una delegazione ONU a Beni, nella provincia del Nord Kivu, il 2 agosto 2018, dove è stata dichiarata una nuova epidemia di Ebola.
Una nuova epidemia di Ebola è stata dichiarata il 1° agosto nella provincia orientale del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Solo il 24 luglio le autorità sanitarie avevano dichiarato chiusa un’altra epidemia di Ebola, la nona negli ultimi 40 anni, che aveva colpito il nordovest del Paese all’inizio di maggio, ma era stata rapidamente controllata anche grazie all’utilizzo di un vaccino sperimentale. Al 3 settembre i decessi erano 82 e le persone raggiunte dal vaccino, somministrato secondo uno schema ad anelli concentrici, erano oltre 6 000. Resta comunque molto difficile intervenire nella zona, poiché tutta la provincia è interessata dal 2004 dal conflitto tra le milizie ribelli Allied Democratic Forces e l’esercito della RDC. La popolazione è infatti molto provata e alcuni rifiutano di condurre i parenti malati nei centri di cura, scoraggiati anche dall’isolamento cui verrebbero sottoposti e dall’aspetto degli operatori sanitari protetti dalle tute anti contaminazione. Ma la ONG ALIMA (The Alliance For International Medical Action) sta cercando di superare questi ostacoli, offrendo assistenza ai casi confermati di Ebola in un nuovo tipo di struttura, installato nella città di Beni. Qui i pazienti vengono ricoverati in unità individuali di isolamento chiamate CUBE, che permettono da una parte il contatto visivo con i parenti e dall’altra agli operatori di lavorare senza indossare le tute speciali. Nell’immagine: il ministro della salute della Repubblica Democratica del Congo Oly Ilunga Kalenga insieme agli amministratori locali accolgono una delegazione ONU a Beni, nella provincia del Nord Kivu, il 2 agosto 2018. Credit: MONUSCO Photos / Flickr. Licenza: CC BY-SA 2.0.

SMETTIAMO DI CREDERE (CIECAMENTE) NEGLI ALGORITMI

Nel suo libro “Hello World: Being Human in the Age of Algorithms”, appena pubblicato nel Regno Unito, la matematica Hannah Fry affronta il tema degli algoritmi e di come limitare i loro effetti negativi nella società. In primo luogo dovremmo smettere di riconoscere agli algoritmi un’autorità superiore. In secondo luogo potremmo programmarli in modo che sia esplicita l’incertezza che è contenuta nei loro risultati. I sistemi di riconoscimento facciale, per esempio, potrebbero indicare una serie di possibili identità e non una sola e lasciare la scelta finale agli esseri umani. Secondo Fry il risultato migliore si ottiene quando gli algoritmi lavorano insieme alle persone, come accade nei sistemi che analizzano le immagini delle mammografie per individuare possibili formazioni tumorali. Il software identifica un sottoinsieme di immagini in cui sospetta di vedere un cancro e le sottopone al vaglio del medico. [The Wall Street Journal; Hannah Fry]

Intanto alla fine di luglio negli Stati Uniti il senatore Mark Warner ha presentato una proposta di legge sulla regolamentazione dei social media e delle compagnie tecnologiche. La proposta rispetta l’approccio che da sempre la legislazione americana ha avuto su questi temi: non limitare l’accesso ai dati. Warner propone infatti di favorire l’ingresso di competitor nel mercato dei dati, permettendo agli utenti Facebook ad esempio, di consegnare i loro dati personali ad altre compagnie del settore. Sostanzialmente un tentativo di interrompere il monopolio delle big tech. Il secondo punto della proposta riguarda invece gli algoritmi, in particolare quelli utilizzati in alcuni settori sensibili, come il credito, la salute, le assicurazioni. I Governi, propone Warner, potrebbero infatti esigere che i software utilizzati in questi ambiti siano sottoposti a procedure di auditing che ne accertino la qualità e l’equità. [Bloomberg Opinion; Cathy O’Neil]

Ulteriori rischi connessi all’utilizzo, sempre più diffuso, di sistemi di decisione automatizzati potrebbero derivare dall’interazione degli algoritmi tra loro. Un esempio è quello dell’High Frequency Trading (HFT), lo scambio di titoli sul mercato azionario affidato a software che operano su scale di tempo molto piccole cercando di sfruttare la volatilità dei prezzi. L’interazione dei software di HFT appartenenti a vari fondi di investimento ha causato nel 2010 il cosiddetto flash crash, un intervallo di pochi minuti in cui due importanti indici azionari statunitensi persero il 9% del loro valore, riacquistandone gran parte nell’ora successiva. Secondo il fisico Neil Johnson, della George Washington University, altri mini flash crash si continuano a osservare sul mercato dal 2014. Situazioni analoghe si stanno verificano anche su Amazon nei sistemi che fissano i prezzi dei prodotti in vendita. Il rischio, insomma, è di perdere il controllo dell’insieme degli algoritmi che utilizziamo e che collettivamente si comportano come un organismo multicellulare in evoluzione. [The Guardian; Andrew Smith]

GLIFOSATO: DALLA SCIENZA AL TRIBUNALE E RITORNO

Il processo mediatico era stato celebrato a giugno del 2017 sui giornali di mezzo mondo. Il primo atto del processo ufficiale si è concluso invece lo scorso 10 agosto, quando il giudice Suzanne Ramos Bolanos della Corte Suprema della California ha condannato in primo grado l’azienda agrochimica Monsanto al pagamento di 289 milioni di dollari di risarcimento a Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni colpito da una forma terminale di linfoma della pelle. La giuria ha giudicato verosimile il nesso causale fra il glifosato contenuto nell’erbicida Round Up, commercializzato dall’azienda fin dagli anni ’70, e la malattia di Johnson, a cui restano ormai pochi mesi di vita. [The Guardian; Sam Levin] 

La sentenza, seppure solo di primo grado, incoraggia gli oltre 4 000 querelanti sparsi negli Stati Uniti che hanno fatto causa alla Monsanto e che attendono di andare a processo (il prossimo verrà celebrato all’inizio del 2019 a St.Louis, Missouri). All’origine di queste cause c’è anche la monografia pubblicata nel 2015 dalla International Agency for Research on Cancer (IARC), che ha dichiarato il glifosato contenuto nell’erbicida RoundUp probabile cancerogeno per gli esseri umani. Ed è proprio su questa monografia che i legali di Johnson hanno basato la loro argomentazione insieme, ovviamente, ai Monsanto Papers, che hanno usato per dimostrare che l’azienda sapeva da decenni degli effetti negativi del Round Up per la salute umana, ma ha taciuto e anzi ha ingaggiato scienziati che scrivessero studi favorevoli facendoli apparire indipendenti. [The Guardian; Carey Gilam] 

La Monsanto, da giugno una divisione della tedesca Bayer che la acquistata per 62,5 miliardi di dollari, promette di ricorrere in appello affermando che la sentenza ignora una grande mole di studi che smentiscono le conclusioni raggiunte dal gruppo di esperti autori della monografia IARC. Numerose sono infatti le critiche mosse al contenuto della monografia e ai metodi utilizzati da IARC per classificare le sostanze in categorie di cancerogenicità. Da una parte viene criticato il fatto che l’agenzia scelga di non considerare i livelli di esposizione e dunque di non indicare soglie di sicurezza al di sotto delle quali le sostanze possono essere considerate sicure. Dall’altra vengono chiamati in causa i pareri di altre autorevoli agenzie internazionali, come EFSA, ECHA e la stessa OMS, e i risultati recenti dell’Agricultural Health Study pubblicati a novembre del 2017. Su questi elementi si baserà molto probabilmente la linea degli avvocati di Monsanto nel processo di appello. [Scienza in rete; Chiara Sabelli]

RICERCA E SOCIETÀ

Questa settimana ha segnato l’inizio del nuovo anno scolastico in numerose regioni riaccendendo così il dibattito sull’obbligo vaccinale: è uno strumento utile a risolvere il problema del calo delle coperture? Secondo l’epidemiologo Vittorio Demicheli andrebbe accompagnato da altri interventi, che tengano in considerazioni le diverse cause del fenomeno. L’obbligo, imponendo sanzioni, è efficace solo per uno dei determinanti (il rifiuto ideologico), ma non si occupa degli altri due (difficoltà di accesso ai servizi vaccinali e diffidenza). Prima del decreto Lorenzin, che comunque ha il merito di stabilire uno standard comune a tutto il territorio nazionale, la legislazione italiana promuoveva l’adesione volontaria e consapevole. Per questa c’è bisogno del potenziamento dei servizi e di interventi culturali. In particolare è necessario che il dibattito sulle vaccinazioni ritrovi toni pacati e smetta di essere una guerra di religione. [Scienza in rete; Vittorio Demicheli]

Pubblicati a fine luglio i progetti vincitori di un ERC Starting Grant, il finanziamento dello European Research Council ai giovani ricercatori. L’Italia è seconda, per nazionalità dei vincitori, dopo la Germania, ma prima nella classifica dei Paesi che vedono i loro scienziati andare all’estero per spendere i fondi ottenuti. Dei 42 ricercatori italiani premiati, 27 hanno scelto come host institution un’università o un centro di ricerca straniero. Una situazione che si ripete uguale a se stessa da ormai diversi anni e trova spiegazione nella peggiore condizione dei laboratori e delle strutture italiane, ma anche nelle burocrazie respingenti. Se l’Italia registra il saldo negativo più elevato, la Gran Bretagna, malgrado Brexit, ottiene il saldo positivo più alto: 22 i ricercatori britannici vincitori di un grant, ma 67 i progetti che verranno svolti nel Regno Unito. [Scienza in rete; Pietro Greco]

Nella notte del 2 settembre un incendio ha distrutto il Museo Nazionale di Rio de Janeiro riducendo in cenere la quasi totalità delle collezioni che ospitava. Una tragedia annunciata secondo i ricercatori intervistati da Science. Tra i pezzi più significativi che si teme siano andati perduti c’è il cranio di Luzia, risalente a 11 000 anni fa, uno dei resti umani più antichi ritrovati nel continente americano. A giugno, durante i festeggiamenti per i 200 anni dall’inaugurazione, la Brazilian Development Bank aveva annunciato un finanziamento di 5 milioni di dollari per ristrutturare l’edificio del museo, compresi i suoi sistemi antincendio. Troppo tardi. Ora il governo promette di stanziare fondi di emergenza per ricostruirlo il prima possibile. [Science; Herton Escobar]

 

Glifosato: dalla scienza al tribunale (e ritorno)

[originariamente pubblicato su Scienza in rete il 6 settembre 2018]

Il processo mediatico era stato celebrato a giugno del 2017 sui giornali di mezzo mondo, partendo dalle due inchieste pubblicate da Le Monde (qui e qui) sui cosiddetti Monsanto Papers. Il primo atto del processo ufficiale si è
concluso invece
lo scorso 10 agosto, quando il giudice Suzanne Ramos Bolanos della Corte Suprema della California ha condannato in primo grado l’azienda agrochimica Monsanto al pagamento di 289 milioni di dollari di risarcimento a Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni colpito da una forma terminale di linfoma della pelle. La giuria ha stabilito che è stato il glifosato contenuto nell’erbicida Round Up, commercializzato dall’azienda fin dagli anni ’70, a causare la malattia di Johnson, a cui restano ormai pochi mesi di vita.

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