[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 25 settembre 2020]
Per la prima volta nel 2020 e a un anno dall’ultimo sciopero globale per il clima, oggi i ragazzi di Fridays For Future scendono in piazza per chiedere ai governi di agire urgentemente contro il cambiamento climatico.
Il momento non potrebbe essere più opportuno. La scorsa settimana si è chiusa con i cieli di San Francisco tinti di arancione, a causa dagli incendi che hanno bruciato circa 1,2 milioni di ettari di foresta nella sola California. Questa settimana si è aperta con la notizia che il ghiaccio artico ha toccato il secondo più basso livello di estensione mai osservato.
Il Polo Nord è una specie di sentinella per il cambiamento climatico. Gli effetti del riscaldamento globale da quelle parti si vedono più velocemente che altrove. La notizia ha guadagnato la prima pagina del quotidiano Le Monde non più tardi di mercoledì insieme a un bilancio sull’offerta di pasti vegetariani nelle scuole pubbliche francesi.
La produzione e distribuzione di cibo è infatti al secondo posto tra le attività umane inquinanti, essendo responsabile di una quantità stimata tra un quarto e un terzo delle emissioni di gas a effetto serra ogni anno (13,7 miliardi di tonnellate). Di questa porzione, quasi il 60% è legato alla produzione di carne e latticini. Dopo il settore dell’energia, è l’industria alimentare che sta lentamente finendo del mirino degli attivisti per il clima. Ne è prova il fatto che alcuni tra i più grandi fondi comincino a incorporare gli impatti ambientali nel calcolo del valore a rischio degli investimenti nel settore alimentare.
A sottolineare l’importanza di una dieta vegetariana ci si è messo anche Sir David Attenbourough. Il naturalista e produttore cinematografico britannico ha lanciato questa settimana il suo nuovo film ‘A life on our planet’ dicendo che per salvare la biodiversità sulla Terra occorre ridurre, fino quasi a eliminarlo, il consumo di carne. A fine novembre anche la BBC aveva prodotto un documentario sul tema, intitolato ‘Meat: A Threat to Our Planet?’ (che si può vedere qui).
Infine, poche settimane fa un gruppo di ricercatori statunitensi ha pubblicato su Nature Sustainability uno studio che stima che l’adozione di una dieta che riduce del 70% il consumo di carne porterebbe a un risparmio di 332 miliardi di tonnellate di CO2, l’equivalente di quanto è stato globalmente emesso negli ultimi 9 anni.
Diminuire il consumo di carne è quindi una necessità se si vuole raggiungere, come ha deciso l’Unione Europea, il livello zero di emissioni nette entro il 2050 per rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi. Ma una simile transizione è fattibile? Come dovrebbero cambiare le nostre diete per essere più sostenibili per l’ambiente? Quali sono le politiche più efficaci per avviare questo cambiamento?