Gli algoritmi sbagliano, ma anche noi

[pubblicato su Scienza in rete il 18 giugno 2022]

Una delle ragioni con cui viene giustificato il ricorso agli algoritmi come sistemi di assistenza alla decisione è la necessità di diminuire gli errori umani e arginare la parzialità dei loro punti di vista. Inserire nel processo decisionale una procedura automatica formulata nel linguaggio della matematica e magari anche basata sui dati, sembra una buona strategia per renderlo più oggettivo e affidabile.

Ma gli algoritmi sbagliano, eccome. E sbagliano in tanti modi diversi. In alcuni casi sbagliano nel senso che sono approssimazioni numeriche di qualche formula matematica implicita, in altri casi sbagliano in senso statistico perché hanno un’accuratezza limitata, in altri sbagliano perché, come scriveva la matematica Cathy O’Neil nel 2016, sono “opinioni scritte nel linguaggio della matematica”.

Questa tassonomia degli errori degli algoritmi non ha nessuna pretesa di essere esaustiva, ma è utile per ragionare su quanto gli algoritmi siano fallibili, senza mai perdere di vista il fatto che anche le persone sbagliano e l’obiettivo da perseguire dovrebbe essere quello di costruire un’alleanza virtuosa tra esseri umani e computer.

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Come evitare che l’intelligenza artificiale prenda il controllo

[pubblicato su Scienza in rete l’11 giugno 2022]

Nel 1951 il matematico britannico Alan Turing, considerato uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale, disse che «una volta avviato lo sviluppo di macchine intelligenti, non ci vorrà molto perché superino i nostri deboli poteri. A un certo punto dovremo aspettarci che le macchine prendano il controllo».

L’idea di una macchina o un algoritmo super intelligente era già comparsa nella finzione letteraria, come per esempio nel racconto di fantascienza The Machine Stops scritto da Edward Morgan Forster nel 1909 che descrive una infrastruttura intelligente onnipotente da cui gli esseri umani diventano gradualmente sempre più dipendenti e di cui conoscono sempre meno il funzionamento.

Ma proprio il lavoro di Turing del 1936, in cui introdusse gli oggetti matematici di macchina e programma, ha trascinato questa prospettiva dalla finzione alla realtà. Quei due oggetti si sono rivelati tra le entità matematiche più potenti mai inventate: otto delle dieci più profittevoli aziende del mondo oggi sono basate sul loro sviluppo.

L’intelligenza artificiale che potrebbe sottrarci il controllo sul nostro futuro di specie umana viene indicata con l’espressione general purpose AI, ovvero “sistemi capaci di imparare rapidamente a svolgere l’intera gamma di compiti che gli esseri umani sono in grado di eseguire”. Spesso viene usata anche l’espressione intelligenza artificiale generale.

Come possiamo evitare di perdere il controllo, consegnandolo alle macchine generaliste? Come possiamo imparare a coesistere con queste macchine? A queste domande ha risposto il matematico e informatico britannico Stuart Russell, della University of California at Berkeley in una serie di quattro lezioni chiamate Reith Lectures, trasmesse ogni anno tra novembre e dicembre via radio dalla BBC dal 1948 e affidate a una figura intellettuale di spicco. Il titolo delle lezioni tenute da Russell è “Living with Artificial Intelligence”.

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Stimare l’eccesso di mortalità generale per capire l’impatto di Covid-19

[pubblicato su Scienza in rete il 30 maggio 2022]

Una sintesi del webinar “Impatto Covid-19: quanto è difficile stimare l’eccesso di mortalità?” organizzata da Scienza in rete il 18 maggio.

L’ultima stima in ordine di tempo è quella pubblicata all’inizio di maggio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: tra il 2020 e il 2021 nei 194 paesi che fanno parte dell’OMS sarebbero morte 15 milioni di persone in più rispetto a quanto sarebbe successo se la pandemia di Covid-19 non ci fosse stata. Questa stima va confrontata con il numero di morti ufficialmente attribuiti a Covid-19 dai diversi governi nazionali, circa 5,5 milioni. La notevole differenza sarebbe in parte dovuta alle persone morte a causa dell’infezione con SARS-CoV-2 ma non diagnosticate e in parte al fatto che i sistemi sanitari sono stati sottoposti a una pressione tale da non poter garantire cure adeguate per tutte le altre malattie. Per questo, l’eccesso di mortalità generale è considerato una stima degli effetti diretti e indiretti di un’epidemia sulla popolazione.

«La differenza tra le morti in eccesso e quelle ufficialmente attribuite a Covid-19 non è uguale in tutti i paesi», ha spiegato Rodolfo Saracci, già presidente della International Epidemiological Association, «per l’Italia la stima dell’eccesso è di circa 160 mila morti da confrontare con le circa 136 mila associate a Covid dal sistema di sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità, una differenza del 20% circa simile a quella che si osserva nei paesi ad alto reddito dell’OMS».

La situazione è diversa se si considerano i paesi a basso reddito in cui non sono disponibili dati di mortalità di alta qualità. «I dati di mortalità mensili utilizzati per la stima dall’OMS sono disponibili solo per 74 dei 194 paesi che fanno parte dell’Organizzazione, per 84 paesi non ci sono dati e per i restanti 35 i dati sono parziali, si riferiscono cioè solo ad alcune regioni o ad alcuni periodi», commenta Saracci «per i paesi senza dati di mortalità si usano delle variabili che nei paesi in cui i dati di mortalità sono disponibili sono correlate con la mortalità. Queste variabili vengono usate poi anche per correggere le stime dei paesi che i dati li hanno. Insomma, si tratta di surrogati dei dati osservati».

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Algoritmi e tumori della pelle: meno accurati di quanto si pensasse

[pubblicato su Scienza in rete il 21 maggio 2022]

Negli ultimi anni, grazie a un particolare tipo di reti neurali profonde, chiamate convolutional neural network e particolarmente efficaci nella classificazione delle immagini, abbiamo letto sui giornali a più riprese che i dermatologi sarebbero presto stati sostituiti dagli algoritmi, almeno nei compiti di screening delle lesioni della pelle. I risultati dell’ultima competizione organizzata dall’International Skin Imaging Collaboration ridimensionano queste aspettative e richiamano all’importanza di valutare le perfomance di questi algoritmi con dati realistici prima di introdurli nella pratica clinica. Gli algoritmi sono sì più accurati della media dei dermatologi coinvolti nella sfida, ma molto meno di quello che si pensava e tranne quando incontrano lesioni che non hanno mai visto prima.

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Challenging the standard model

[pubblicato su Nature Italy il 20 maggio 2022]

Giorgio Chiarelli tells the story of how Italy contributed to the measurement of the W boson mass, opening a door on new physics.

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Cover image: The three-story, 6,000-ton CDF detector takes snapshots of the particles that emerge when protons and antiprotons collide. The CDF collaboration consists of about 500 members from 63 institutions in 15 countries. Credit: Fermilab.

Cosa dice il Digital Services Act approvato dal Parlamento europeo

[pubblicato su Scienza in rete il 30 aprile 2022]

All’alba di sabato 23 aprile il Parlamento europeo insieme al Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato il suo rapporto sul Digital Services Act (DSA), il regolamento proposto un anno fa dalla Commissione europea per regolare i servizi digitali che agiscono come intermediari tra i cittadini dell’Unione e prodotti, contenuti o servizi. Si tratta delle piattaforme per gli acquisti online, dei social network o dei motori di ricerca. Nell’ambito del DSA rientra anche l’utilizzo di algoritmi da parte delle istituzioni pubbliche, come forze dell’ordine, tribunali, amministrazioni e servizi sanitari.

«Insieme a Dragoş Tudorache abbiamo lavorato per inserire nella bozza i punti su cui c’era già un forte accordo», ha dichiarato Brando Benifei, europarlamentare del Partito Democratico durante l’AI summit organizzato da POLITICO poche ore prima che il documento venisse pubblicato. Benifei è relatore della proposta di regolamento insieme all’eurodeputato rumeno Tudorache del gruppo liberale Renew Europe.

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Elezioni francesi: una piattaforma digitale per costruire un programma elettorale collettivo

[pubblicato su Scienza in rete il 23 aprile 2022]

Domani i cittadini francesi saranno chiamati a scegliere chi tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen ricoprirà la carica di presidente della Repubblica. Nelle scorse settimane i due candidati si sono contesi soprattutto i voti di Jean-Luc Mélenchon del movimento La France insoumise, il terzo ad aver ricevuto il maggior numero di preferenze, quasi il 22% del totale, al primo turno.

Tra i sondaggi, alcuni dicono che fino al 20-30% degli elettori di Mélenchon potrebbe votare per il Rassemblement National di Marine Le Pen. Il quotidiano Libération scrive che si tratta di coloro che nel 2017 hanno votato Macron al secondo turno e sono rimasti delusi dai suoi cinque anni di governo. Già nel 2017 circa il 7% degli elettori di Mélenchon votarono per il partito sovranista guidato da Le Pen.

Proprio perché l’identità politica dei candidati sembra essere sempre meno rilevante nelle scelte elettorali, un gruppo di ricercatori francesi ha deciso di concentrarsi sui programmi più che sui candidati, coinvolgendo i cittadini in un esperimento di democrazia digitale partecipata.

Si tratta del progetto MonProgramme2022.org, una piattaforma web che permette agli utenti di esprimere una serie di preferenze sulle 120 proposte che i ricercatori hanno estratto dai programmi dei dodici candidati al primo turno delle presidenziali francesi.

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Ventilatori anti-Covid nei luoghi chiusi: intervista a Giorgio Buonanno

[pubblicato su Scienza in rete l’8 aprile 2022]

Ascolta “Perché l’OMS ha impiegato tanto a riconoscere che SARS-CoV-2 si trasmette per via aerea?” su Spreaker.

Poco prima di Natale sulla pagina web dell’Organizzazione Mondiale della Sanità alla domanda “Come si trasmette il SARS-CoV-2?” è comparsa la parola airborne, cioè “via aerea”, e l’espressione short-range aerosolCi sono voluti quasi due anni perché la più importante agenzia di salute pubblica globale riconoscesse che la principale via di trasmissione del virus che causa Covid-19 non sono i droplet ma l’aerosol, le goccioline che emettiamo nell’atto di respirare o parlare sufficientemente piccole da galleggiare nell’aria e percorrere distanze anche superiori a un metro. Perché queste resistenze? Ne parliamo con Giorgio Buonanno, professore ordinario al dipartimento di ingegneria civile e meccanica dell’università di Cassino che fa parte di un gruppo di studiosi che fin dalle prime fasi dell’epidemia ha cercato di sensibilizzare l’OMS su questo tema. Riconoscere che il virus si trasmetta per via aerea è importante perché permetterebbe di mettere in campo altri interventi per contenere il contagio, soprattutto in ambienti chiusi e affollati. In particolare la ventilazione meccanica controllata di cui molto si è discusso riguardo alle scuole e che in questi giorni è tornata al centro dell’attenzione dopo l’esperienza della regione Marche. La regione ha investito 9 milioni di euro per dotare trecento delle sue diecimila aule di impianti di ventilazione meccanica ottenendo risultati molto promettenti, anche se per nulla sorprendenti.

Intervista: Chiara Sabelli. Sigla: Jacopo Mengarelli.

L’immagine di copertina è di Avius Quovis (CC BY-NC 2.0).

Il ruolo dei Science Media Centre nel giornalismo scientifico

[pubblicato su Scienza in rete il 5 aprile 2022]

Durante la pandemia, i risultati degli studi scientifici, spesso finanziati dal governo, sono stati trascinati in un sistema di comunicazione progettato per pubblicizzare le idee del governo. Più volte gli esperti di comunicazione del governo, frustrati dai messaggi contrastanti degli scienziati di alto livello che parlavano apertamente delle incertezze e delle lacune nelle nostre conoscenze su diverse questioni, dall’uso delle mascherine al contributo delle scuole nella diffusione del contagio, mi chiedevano come arginare questo fenomeno. Stavano chiedendo alla persona sbagliata. Capivo la loro frustrazione, ma ho risposto che sorvolare sull’incertezza e sulle opinioni contrastanti avrebbe rischiato di minare la fiducia del pubblico nella scienza in un momento critico. Non esisteva “la scienza” su Covid.

A scrivere è Fiona Fox, direttrice dello Science Media Centre britannico, sull’ultimo numero di The Observer, l’edizione domenicale del quotidiano The Guardian.

Lo Science Media Centre è un ufficio stampa scientifico indipendente finanziato da un insieme di donatori che comprendono università e centri di ricerca, organizzazioni non governative, gruppi di pazienti, gruppi editoriali e ospitato nella sede della Wellcome Collection a Londra. Lo statuto del centro prevede che nessun donatore contribuisca con più del 5% del budget annuale di circa 850 000 euro, fatta eccezione per il Wellcome Trust, un ente di beneficenza, e lo UK Research and Innovation, l’agenzia pubblica della ricerca. Il Centro svolge un ruolo di mediazione tra scienziati e istituzioni scientifiche, università e centri di ricerca da una parte e il mondo dei media dall’altra. È stato istituito venti anni fa su proposta della commissione scienza e tecnologia della House of Lords in seguito a una serie di esperienze negative della stampa inglese su temi come l’uso degli OGM in agricoltura, il falso legame tra vaccini e autismo e l’encefalopatia spongiforme bovina (divenuta nota come “morbo della mucca pazza”).

Il principale obiettivo dei fondatori e della stessa Fox, che venne nominata direttrice allora, era quello di incoraggiare gli scienziati, spaventati dall’impatto delle loro dichiarazioni sull’opinione pubblica, a far sentire la propria voce. Il motto del centro è “The media will do science better when scientists do the media better”.

«Questo vuol dire che l’unico modo di migliorare la copertura giornalistica della scienza è far sì che gli scienziati si gettino nella mischia e interagiscano con i media. Proprio questo è il motivo per cui il nostro Centro è stato fondato», ha spiegato Hannah Taylor-Lewis, addetta stampa dello Science Media Centre, intervenendo durante un incontro sul tema organizzato dall’Ambasciata britannica a Roma lo scorso giovedì 31 marzo.

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Ucraina: la solidarietà della comunità scientifica italiana

[pubblicato su Scienza in rete l’11 marzo 2022]

Dopo che il terremoto di magnitudo 6,3 colpì nel 2009 la città dell’Aquila, il matematico Bruno Rubino, oggi prorettore agli affari internazionali dell’Università dell’Aquila, concluse lezioni della laurea magistrale internazionale in Ingegneria Matematica a Brno in Repubblica Ceca, dove trovarono ospitalità anche i suoi studenti. Forse per questo l’università abruzzese è stata tra le prime a mobilitarsi per aiutare studenti, ricercatori e professori ucraini in fuga dalla guerra.

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