[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 26 ottobre 2018]

ELEZIONI
Jair Bolsonaro, il candidato di estrema destra favorito al ballottaggio per le presidenziali brasiliane che si terrà il 28 ottobre, minaccia di ritirarsi dall’accordo di Parigi, di voler allentare i vincoli sulla deforestazione in Amazzonia per favorire lo sviluppo economico e di destinare maggiori fondi pubblici per la ricerca militare. Il suo avversario, il candidato di sinistra Fernando Haddad per ora indietro nei sondaggi, si presenta con un programma che sostiene uno sviluppo sostenibile e un aumento dei finanziamenti pubblici alla ricerca scientifica. Ma gli scienziati dubitano che potrà mantenere la promessa. Qualunque sia il risultato di domenica i ricercatori brasiliani faticano a essere ottimisti sul loro futuro. [Science; Herton Escobar]
Il 6 novembre gli Stati Uniti voteranno per rieleggere numerosi membri di Camera e Senato. La maggioranza dei sondaggi indica come risultato più probabile che i Democratici riconquisteranno la maggioranza alla Camera, mentre i Repubblicani la manterranno al Senato. Tuttavia Nate Silver, il fondatore di FiveThirtyEight, raccomanda di considerare l’alto grado di incertezza che grava sulle elezioni di midterm (come su tutte le altre). Silver si meritò l’appellativo di prediction wizard quando FiveThirtyEight indovinò i risultati di 50 stati su 50 nelle elezioni del 2012. Ma nel 2016 stimò le probabilità di vittoria di Hillary Clinton nel 2016 al 71%. Il mago delle previsioni elettorali aveva perso i suoi poteri? In realtà sbagliò meno di tutti: alla fine una probabilità di vittoria del 29% vuol dire che la vittoria si può verificare quasi una volta su tre. Per comprendere questa affermazione bisogna andare al cuore del modello di previsione di FiveThirtyEight. Partendo dai risultati dei sondaggi elettorali, dopo averli “corretti” per una serie di fattori (ad esempio la rappresentatività statistica), l’algoritmo simula 20 000 elezioni. In ciascuna simulazione vengono considerati gli errori sui sondaggi basandosi sui dati storici. In particolare l’algoritmo tiene in conto le correlazioni tra gli errori sui sondaggi sia di natura geografica, che demografica (se i sondaggi hanno sistematicamente sottostimato il voto dei cittadini di origine ispanica per il candidato repubblicano, l’algoritmo simulerà più elezioni in cui i risultati elettorali si discostano dai sondaggi in quel senso). Questa operazione permette a FiveThirtyEight di calcolare delle probabilità di successo (in quante delle 20 000 elezioni simulate ha vinto un certo candidato?). Con questo modello FiveThirtyEight ha concluso che la probabilità dei Democratici di vincere la Camera è dell’ 84,2%, mentre quella dei Repubblicani di mantenere il Senato dell’82,1%. Come ben rappresentato graficamente (qui per la camera e qui per il Senato) sono numerose le configurazioni con probabilità non trascurabile in cui accade l’opposto. [Vox; Andrew Prokop]
Mercoledì 18 ottobre Facebook ha aperto le porte della sua war room a un gruppo di giornalisti. In questa stanza qualche decina di dipendenti, ingegneri, informatici ed esperti di cyber-sicurezza, lavorano per evitare intrusioni che possano influenzare il ballottaggio in Brasile e le elezioni di midterm negli Stati Uniti. La war room è solo l’ultimo degli strumenti di cui la compagnia si è dotata dopo l’accusa di aver condizionato in maniera illecita le presidenziali americane del 2016. Sono infatti 20 i team che si occupano di coordinare l’attività di 20 000 persone, per lo più dipendenti di aziende esterne, con lo scopo di identificare profili e notizie falsi e bloccarli. Ma cosa succede esattamente nella war room? Il tour offerto alla stampa non ha permesso di capirlo, ma molti sono scettici sulla sua efficacia. I contenuti che suscitano reazioni emotive forti sono alla base del successo della compagnia poiché garantiscono un alto livello di traffico e dunque permettono di vendere più facilmente gli spazi pubblicitari. [The Washington Post; Michael Liedtke]
BREXIT
29 Premi Nobel e 6 vincitori della Medaglia Fields per la matematica hanno indirizzato una lettera alla Prima Ministra britannica Theresa May e al Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker chiedendo di lavorare per raggiungere un accordo che garantisca la più stretta collaborazione scientifica tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Gli scienziati fanno riferimento in particolare alla necessità che la Gran Bretagna partecipi pienamente al prossimo programma quadro sulla ricerca e l’innovazione dell’UE, Horizon Europe. Se così non fosse il Regno Unito perderebbe decine di miliardi di euro di finanziamenti e rischierebbe di veder partire i numerosi scienziati europei che operano nei suoi istituti. Le preoccupazioni dei ricercatori che lavorano in Gran Bretagna sono state ben fotografate da un sondaggio realizzato presso il Francis Crick Institute, il più grande centro di ricerca biomedica del Paese. [Independent; Josh Gabbatiss]
I cittadini britannici sono più pessimisti sugli effetti di Brexit di quanto non fossero a giugno del 2016, ma le posizioni espresse al referendum condizionano ancora pesantemente le aspettative sul futuro. Un sondaggio, condotto recentemente dal Policy Institute del King’s College London e Ipsos MORI su un campione di 2 200 cittadini, ha rivelato che il 44% della popolazione si aspetta che il Regno Unito esca dall’Unione Europea senza un accordo a marzo 2019, solo il 29% pensa che verrà raggiunto un accordo. Ma il pessimismo è più diffuso tra coloro che avevano votato per rimanere nell’Unione: il 64% di questi ritiene che Brexit rallenterà la crescita economica del Paese, mentre questa posizione è condivisa solo dal 17% dei sostenitori del “Leave”. Le aspettative sugli effetti di Brexit sono peggiorate soprattutto riguardo alla qualità del National Health Service, un punto su cui si era concentrata la campagna del referendum. La percentuale di coloro che pensano che il sistema ne risentirà è passata dal 17% del 2016 al 34% di oggi. [The Conversation; Bobby Duffy, Anand Menon]
La pesca europea rischia di essere stravolta dalla Brexit: il Regno Unito ha ritirato unilateralmente la sua adesione alla Convenzione di Londra e quando uscirà dall’UE e dunque dalla Politica di Pesca Comune, minaccia di voler riprendere il controllo della sua Zona Economica Esclusiva (ZEE), un’area di 370 km al largo delle coste nazionali, tra le più pescose del continente. A farne le spese sarà prima di tutto la filiera francese: il 30% del pescato francese deriva da acque britanniche. Attualmente ogni Paese dell’Unione accede liberamente alla ZEE del Regno Unito a patto di rispettare certe quote di pescato, che tengono conto della conservazione della biodiversità marina e dei volumi di importazioni ed esportazioni. La Gran Bretagna ha dichiarato all’inizio di luglio che intende decidere unilateralmente l’accesso alla sua ZEE e chiede una rinegoziazione delle quote per difendere gli interessi dei pescatori britannici, che hanno votato in massa per il “Leave”. Dal canto suo Bruxelles risponde che una posizione simile spingerà l’Unione a rivedere le condizioni di esportazione del pesce britannico sul mercato europeo. [Le Monde; Anne Guillard]
A UN SECOLO DALLA SPAGNOLA
Se la pandemia più virulenta e mortale del secolo scorso è stata l’influenza Spagnola, quella di oggi potrebbe essere rappresentata dalla disinformazione sui vaccini. Heidi Larson, coordinatrice di The Vaccine Confidence Project, lancia l’allarme: la disinformazione sui vaccini, capace di circolare velocemente sui social media, aumenta lo scetticismo e rischia di farci trovare impreparati alla prossima pandemia. Si può classificare la disinformazione in livelli di dannosità. La più pericolosa è la cattiva scienza: medici che diffondono risultati di ricerche sbagliate (ne è un esempio il caso Wakefield). Segue la disinformazione diffusa da chi ha interessi economici, poi quella di chi ha interessi politici nel polarizzare il dibattito e infine quella di coloro che disseminano il panico su presunte reazioni avverse. Ma la disinformazione si può combattere sfruttando i suoi stessi mezzi di comunicazione, come dimostrano alcune esperienze in Irlanda e Danimarca. [Nature; Heidi J. Larson]
Analizzando le sequenze virali dal 1918 (influenza Spagnola) al 2009 (influenza Suina) un gruppo di ricercatori italiani e francesi, coordinati da Elisa Vicenzi del San Raffaele di Milano, ha osservato l’accumulazione di quattro mutazioni nella sequenza della nucleoproteina dei virus dell’influenza A. Il processo di degradazione da virus pandemico a virus stagionale avverrebbe attraverso la sostituzione di quattro lisine con quattro arginine in certe posizioni, rendendo il virus più sensibile alla risposta immunitaria innata dell’ospite. Potrebbe sembrare controintuitivo che un virus evolva diventando più vulnerabile, ma sul lungo periodo questo attenua la sua patogenicità e gli permette di infettare un numero maggiore di soggetti. [Scienza in rete; Elisa Vicenzi]