Albert Sabin (sinistra) e MicKail Chumakov (destra)

Il vaccino che superò il muro della guerra fredda

La storia del vaccino contro la poliomielite nasce negli Stati Uniti nei primi anni 50 del novecento. Il giornalista William Swanson la ha raccontata in questo articolo su Scientific American. Mentre la contrapposizione con l’Unione Sovietica era ormai chiara e lo spettro di una guerra nucleare diventava sempre più minaccioso, un nemico interno spaventava gli americani: la poliomielite. Era ormai noto che a causarla è un virus, che raggiungendo l’intestino attraverso il canale alimentare, si infiltra nel flusso sanguigno e colpisce infine il sistema nervoso centrale. L’immagine dei bambini con gli arti ritorti, distesi sulle schiene senza possibilità di muoversi, tormentava gli americani. Due scienziati, uno americano e l’altro sovietico nel giro di pochi anni, misero a punto un vaccino in grado sostanzialmente di eradicare la malattia. La loro collaborazione, oltraggiosa per i politici dell’epoca, portò a una delle più importanti conquiste della medicina nel novecento, salvando innumerevoli vite.

IMMUNIZZAZIONE PRIMARIA E SECONDARIA
All’inizio degli anni 50, la ricerca di una cura contro la polio rappresentava una tra le massime priorità degli Stati Uniti. La sfida venne affrontata da due virologi: Jonas Salk, all’università di Pittsburgh, e Albert Sabin, all’università di Cincinnati. I loro approcci erano diversi. Il primo, Salk, stava sperimentando un vaccino contenente il virus inattivato, mentre il secondo, Sabin, lavorava con virus attenuati, ma ancora vivi. Nel 1955 il vaccino di Salk venne approvato dalle autorità, dopo aver testato la sua efficacia su quasi due milioni di bambini delle scuole. La differenza tra i due vaccini non stava, però, solo nella loro composizione. Anche la loro azione e la somministrazione cambiava. Mentre il vaccino di Salk, somministrato con un’iniezione, assicurava solo l’immunizzazione del soggetto che lo riceveva, la terapia di Sabin, somministrata per via orale, permetteva di ottenere la cosiddetta immunizzazione secondaria. Utilizzando un virus inattivato i soggetti che ricevevano il vaccino potevano infatti infettare debolmente altri soggetti, assicurando anche a loro l’immunizzazione. Sabin era convinto che il suo vaccino avrebbe permesso di cancellare quasi del tutto la malattia. Dopo l’approvazione del farmaco di Salk nel 1955, Sabin aveva ormai individuato i tre ceppi di virus da includere nel suo vaccino, ma il governo americano non aveva intenzione di investire ancora per provarne l’efficacia. Fino a quel momento, infatti, il vaccino col virus attenuato era stato testato solo su qualche centinaia di detenuti di un carcere di Chilicote in Ohio, oltre che su Sabin stesso, sua moglie e sua figlia. Il medico sapeva che aveva bisogno di numeri molto più alti per poter dimostrare la superiorità della sua terapia.

IL VIRUS SI DIFFONDE NELL’UNIONE SOVIETICA
Nel frattempo la poliomielite cominciava a diffondersi anche nelle grandi città dell’Unione Sovietica, come Mosca e Minsk, ma anche in piccoli centri della remota Siberia. La collaborazione tra ricercatori sovietici e americani si era interrotta subito dopo la seconda guerra mondiale, ma in quel momento l’urgenza di contenere la malattia sembrò superare le contrapposizioni politiche. Ricordiamo che intanto Stalin era morto nel 1953 e gli era succeduto , lievemente meno rigido. Così nel 1953 i due virologi più autorevoli dell’Unione Sovietica, Anatoli Smorodintsev e Mikhail Chumakov insieme alla moglie di quest’ultimo Marina Voroshilova, viaggiarono verso gli Stati Uniti. Furono costretti ad attraversare il confine via terra, piuttosto che via aria. I tre ricercatori incontrarono autorevoli scienziati americani, tra cui Salk e Sabin. In quell’occasione Sabin e Chumakov stabilirono il legame che si sarebbe rivelato fondamentale per le sorti del vaccino di Sabin.

SABIN IN UNIONE SOVIETICA
Nel 1956 Sabin venne autorizzato dal governo americano a recarsi in Unione Sovietica per incontrare Chumakov, Smorodintsev e Voroshilova. Nonostante altri ricercatori americani fossero stati invitati a quegli incontri, solo Sabin accettò. Per Sabin fu in qualche modo un ritorno a casa. Era nato nel 1906 in una città polacca, durante il periodo zarista ed era poi emigrato negli Stati Uniti poiché la sua famiglia era di origine ebrea. Chumakov si convinse che se voleva assicurare la sua popolazione avrebbe dovuto impiegare il vaccino di Sabin. Propose al ministro della salute di finanziare il trial per la sua approvazione, ma questo rifiutò. Si rivolse quindi al Politburo, la massima autorià Sovietica e questa acconsentì. Nel 1959 Chumakov testò il vaccino orale su 10 milioni di bambini nell’Unione Sovietica. I centri di vaccinazione non furono organizzati solamente in ospedali e ambulatori, ma anche in scuole, infermerie e altri centri non medici. Nei mesi successivi praticamente tutti i sovietici minori di 20 anni, circa 100 milioni di persone, ricevettero in maniera indiretta il vaccino. Alla fine dell’anno successivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità espresse il suo plauso per la diffusione del vaccino e per la notevole diminuzione di casi di paralisi.

Pubblicato da

Chiara Sabelli

Cerco. E, quando trovo, racconto. Giornalista scientifica freelance. Fisica di formazione, in finanza dopo il PhD.

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