Gli algoritmi sbagliano, ma anche noi

[pubblicato su Scienza in rete il 18 giugno 2022]

Una delle ragioni con cui viene giustificato il ricorso agli algoritmi come sistemi di assistenza alla decisione è la necessità di diminuire gli errori umani e arginare la parzialità dei loro punti di vista. Inserire nel processo decisionale una procedura automatica formulata nel linguaggio della matematica e magari anche basata sui dati, sembra una buona strategia per renderlo più oggettivo e affidabile.

Ma gli algoritmi sbagliano, eccome. E sbagliano in tanti modi diversi. In alcuni casi sbagliano nel senso che sono approssimazioni numeriche di qualche formula matematica implicita, in altri casi sbagliano in senso statistico perché hanno un’accuratezza limitata, in altri sbagliano perché, come scriveva la matematica Cathy O’Neil nel 2016, sono “opinioni scritte nel linguaggio della matematica”.

Questa tassonomia degli errori degli algoritmi non ha nessuna pretesa di essere esaustiva, ma è utile per ragionare su quanto gli algoritmi siano fallibili, senza mai perdere di vista il fatto che anche le persone sbagliano e l’obiettivo da perseguire dovrebbe essere quello di costruire un’alleanza virtuosa tra esseri umani e computer.

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Come evitare che l’intelligenza artificiale prenda il controllo

[pubblicato su Scienza in rete l’11 giugno 2022]

Nel 1951 il matematico britannico Alan Turing, considerato uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale, disse che «una volta avviato lo sviluppo di macchine intelligenti, non ci vorrà molto perché superino i nostri deboli poteri. A un certo punto dovremo aspettarci che le macchine prendano il controllo».

L’idea di una macchina o un algoritmo super intelligente era già comparsa nella finzione letteraria, come per esempio nel racconto di fantascienza The Machine Stops scritto da Edward Morgan Forster nel 1909 che descrive una infrastruttura intelligente onnipotente da cui gli esseri umani diventano gradualmente sempre più dipendenti e di cui conoscono sempre meno il funzionamento.

Ma proprio il lavoro di Turing del 1936, in cui introdusse gli oggetti matematici di macchina e programma, ha trascinato questa prospettiva dalla finzione alla realtà. Quei due oggetti si sono rivelati tra le entità matematiche più potenti mai inventate: otto delle dieci più profittevoli aziende del mondo oggi sono basate sul loro sviluppo.

L’intelligenza artificiale che potrebbe sottrarci il controllo sul nostro futuro di specie umana viene indicata con l’espressione general purpose AI, ovvero “sistemi capaci di imparare rapidamente a svolgere l’intera gamma di compiti che gli esseri umani sono in grado di eseguire”. Spesso viene usata anche l’espressione intelligenza artificiale generale.

Come possiamo evitare di perdere il controllo, consegnandolo alle macchine generaliste? Come possiamo imparare a coesistere con queste macchine? A queste domande ha risposto il matematico e informatico britannico Stuart Russell, della University of California at Berkeley in una serie di quattro lezioni chiamate Reith Lectures, trasmesse ogni anno tra novembre e dicembre via radio dalla BBC dal 1948 e affidate a una figura intellettuale di spicco. Il titolo delle lezioni tenute da Russell è “Living with Artificial Intelligence”.

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Stimare l’eccesso di mortalità generale per capire l’impatto di Covid-19

[pubblicato su Scienza in rete il 30 maggio 2022]

Una sintesi del webinar “Impatto Covid-19: quanto è difficile stimare l’eccesso di mortalità?” organizzata da Scienza in rete il 18 maggio.

L’ultima stima in ordine di tempo è quella pubblicata all’inizio di maggio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: tra il 2020 e il 2021 nei 194 paesi che fanno parte dell’OMS sarebbero morte 15 milioni di persone in più rispetto a quanto sarebbe successo se la pandemia di Covid-19 non ci fosse stata. Questa stima va confrontata con il numero di morti ufficialmente attribuiti a Covid-19 dai diversi governi nazionali, circa 5,5 milioni. La notevole differenza sarebbe in parte dovuta alle persone morte a causa dell’infezione con SARS-CoV-2 ma non diagnosticate e in parte al fatto che i sistemi sanitari sono stati sottoposti a una pressione tale da non poter garantire cure adeguate per tutte le altre malattie. Per questo, l’eccesso di mortalità generale è considerato una stima degli effetti diretti e indiretti di un’epidemia sulla popolazione.

«La differenza tra le morti in eccesso e quelle ufficialmente attribuite a Covid-19 non è uguale in tutti i paesi», ha spiegato Rodolfo Saracci, già presidente della International Epidemiological Association, «per l’Italia la stima dell’eccesso è di circa 160 mila morti da confrontare con le circa 136 mila associate a Covid dal sistema di sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità, una differenza del 20% circa simile a quella che si osserva nei paesi ad alto reddito dell’OMS».

La situazione è diversa se si considerano i paesi a basso reddito in cui non sono disponibili dati di mortalità di alta qualità. «I dati di mortalità mensili utilizzati per la stima dall’OMS sono disponibili solo per 74 dei 194 paesi che fanno parte dell’Organizzazione, per 84 paesi non ci sono dati e per i restanti 35 i dati sono parziali, si riferiscono cioè solo ad alcune regioni o ad alcuni periodi», commenta Saracci «per i paesi senza dati di mortalità si usano delle variabili che nei paesi in cui i dati di mortalità sono disponibili sono correlate con la mortalità. Queste variabili vengono usate poi anche per correggere le stime dei paesi che i dati li hanno. Insomma, si tratta di surrogati dei dati osservati».

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Algoritmi e tumori della pelle: meno accurati di quanto si pensasse

[pubblicato su Scienza in rete il 21 maggio 2022]

Negli ultimi anni, grazie a un particolare tipo di reti neurali profonde, chiamate convolutional neural network e particolarmente efficaci nella classificazione delle immagini, abbiamo letto sui giornali a più riprese che i dermatologi sarebbero presto stati sostituiti dagli algoritmi, almeno nei compiti di screening delle lesioni della pelle. I risultati dell’ultima competizione organizzata dall’International Skin Imaging Collaboration ridimensionano queste aspettative e richiamano all’importanza di valutare le perfomance di questi algoritmi con dati realistici prima di introdurli nella pratica clinica. Gli algoritmi sono sì più accurati della media dei dermatologi coinvolti nella sfida, ma molto meno di quello che si pensava e tranne quando incontrano lesioni che non hanno mai visto prima.

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Challenging the standard model

[pubblicato su Nature Italy il 20 maggio 2022]

Giorgio Chiarelli tells the story of how Italy contributed to the measurement of the W boson mass, opening a door on new physics.

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Cover image: The three-story, 6,000-ton CDF detector takes snapshots of the particles that emerge when protons and antiprotons collide. The CDF collaboration consists of about 500 members from 63 institutions in 15 countries. Credit: Fermilab.

Cosa dice il Digital Services Act approvato dal Parlamento europeo

[pubblicato su Scienza in rete il 30 aprile 2022]

All’alba di sabato 23 aprile il Parlamento europeo insieme al Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato il suo rapporto sul Digital Services Act (DSA), il regolamento proposto un anno fa dalla Commissione europea per regolare i servizi digitali che agiscono come intermediari tra i cittadini dell’Unione e prodotti, contenuti o servizi. Si tratta delle piattaforme per gli acquisti online, dei social network o dei motori di ricerca. Nell’ambito del DSA rientra anche l’utilizzo di algoritmi da parte delle istituzioni pubbliche, come forze dell’ordine, tribunali, amministrazioni e servizi sanitari.

«Insieme a Dragoş Tudorache abbiamo lavorato per inserire nella bozza i punti su cui c’era già un forte accordo», ha dichiarato Brando Benifei, europarlamentare del Partito Democratico durante l’AI summit organizzato da POLITICO poche ore prima che il documento venisse pubblicato. Benifei è relatore della proposta di regolamento insieme all’eurodeputato rumeno Tudorache del gruppo liberale Renew Europe.

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Elezioni francesi: una piattaforma digitale per costruire un programma elettorale collettivo

[pubblicato su Scienza in rete il 23 aprile 2022]

Domani i cittadini francesi saranno chiamati a scegliere chi tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen ricoprirà la carica di presidente della Repubblica. Nelle scorse settimane i due candidati si sono contesi soprattutto i voti di Jean-Luc Mélenchon del movimento La France insoumise, il terzo ad aver ricevuto il maggior numero di preferenze, quasi il 22% del totale, al primo turno.

Tra i sondaggi, alcuni dicono che fino al 20-30% degli elettori di Mélenchon potrebbe votare per il Rassemblement National di Marine Le Pen. Il quotidiano Libération scrive che si tratta di coloro che nel 2017 hanno votato Macron al secondo turno e sono rimasti delusi dai suoi cinque anni di governo. Già nel 2017 circa il 7% degli elettori di Mélenchon votarono per il partito sovranista guidato da Le Pen.

Proprio perché l’identità politica dei candidati sembra essere sempre meno rilevante nelle scelte elettorali, un gruppo di ricercatori francesi ha deciso di concentrarsi sui programmi più che sui candidati, coinvolgendo i cittadini in un esperimento di democrazia digitale partecipata.

Si tratta del progetto MonProgramme2022.org, una piattaforma web che permette agli utenti di esprimere una serie di preferenze sulle 120 proposte che i ricercatori hanno estratto dai programmi dei dodici candidati al primo turno delle presidenziali francesi.

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Ventilatori anti-Covid nei luoghi chiusi: intervista a Giorgio Buonanno

[pubblicato su Scienza in rete l’8 aprile 2022]

Ascolta “Perché l’OMS ha impiegato tanto a riconoscere che SARS-CoV-2 si trasmette per via aerea?” su Spreaker.

Poco prima di Natale sulla pagina web dell’Organizzazione Mondiale della Sanità alla domanda “Come si trasmette il SARS-CoV-2?” è comparsa la parola airborne, cioè “via aerea”, e l’espressione short-range aerosolCi sono voluti quasi due anni perché la più importante agenzia di salute pubblica globale riconoscesse che la principale via di trasmissione del virus che causa Covid-19 non sono i droplet ma l’aerosol, le goccioline che emettiamo nell’atto di respirare o parlare sufficientemente piccole da galleggiare nell’aria e percorrere distanze anche superiori a un metro. Perché queste resistenze? Ne parliamo con Giorgio Buonanno, professore ordinario al dipartimento di ingegneria civile e meccanica dell’università di Cassino che fa parte di un gruppo di studiosi che fin dalle prime fasi dell’epidemia ha cercato di sensibilizzare l’OMS su questo tema. Riconoscere che il virus si trasmetta per via aerea è importante perché permetterebbe di mettere in campo altri interventi per contenere il contagio, soprattutto in ambienti chiusi e affollati. In particolare la ventilazione meccanica controllata di cui molto si è discusso riguardo alle scuole e che in questi giorni è tornata al centro dell’attenzione dopo l’esperienza della regione Marche. La regione ha investito 9 milioni di euro per dotare trecento delle sue diecimila aule di impianti di ventilazione meccanica ottenendo risultati molto promettenti, anche se per nulla sorprendenti.

Intervista: Chiara Sabelli. Sigla: Jacopo Mengarelli.

L’immagine di copertina è di Avius Quovis (CC BY-NC 2.0).

Il ruolo dei Science Media Centre nel giornalismo scientifico

[pubblicato su Scienza in rete il 5 aprile 2022]

Durante la pandemia, i risultati degli studi scientifici, spesso finanziati dal governo, sono stati trascinati in un sistema di comunicazione progettato per pubblicizzare le idee del governo. Più volte gli esperti di comunicazione del governo, frustrati dai messaggi contrastanti degli scienziati di alto livello che parlavano apertamente delle incertezze e delle lacune nelle nostre conoscenze su diverse questioni, dall’uso delle mascherine al contributo delle scuole nella diffusione del contagio, mi chiedevano come arginare questo fenomeno. Stavano chiedendo alla persona sbagliata. Capivo la loro frustrazione, ma ho risposto che sorvolare sull’incertezza e sulle opinioni contrastanti avrebbe rischiato di minare la fiducia del pubblico nella scienza in un momento critico. Non esisteva “la scienza” su Covid.

A scrivere è Fiona Fox, direttrice dello Science Media Centre britannico, sull’ultimo numero di The Observer, l’edizione domenicale del quotidiano The Guardian.

Lo Science Media Centre è un ufficio stampa scientifico indipendente finanziato da un insieme di donatori che comprendono università e centri di ricerca, organizzazioni non governative, gruppi di pazienti, gruppi editoriali e ospitato nella sede della Wellcome Collection a Londra. Lo statuto del centro prevede che nessun donatore contribuisca con più del 5% del budget annuale di circa 850 000 euro, fatta eccezione per il Wellcome Trust, un ente di beneficenza, e lo UK Research and Innovation, l’agenzia pubblica della ricerca. Il Centro svolge un ruolo di mediazione tra scienziati e istituzioni scientifiche, università e centri di ricerca da una parte e il mondo dei media dall’altra. È stato istituito venti anni fa su proposta della commissione scienza e tecnologia della House of Lords in seguito a una serie di esperienze negative della stampa inglese su temi come l’uso degli OGM in agricoltura, il falso legame tra vaccini e autismo e l’encefalopatia spongiforme bovina (divenuta nota come “morbo della mucca pazza”).

Il principale obiettivo dei fondatori e della stessa Fox, che venne nominata direttrice allora, era quello di incoraggiare gli scienziati, spaventati dall’impatto delle loro dichiarazioni sull’opinione pubblica, a far sentire la propria voce. Il motto del centro è “The media will do science better when scientists do the media better”.

«Questo vuol dire che l’unico modo di migliorare la copertura giornalistica della scienza è far sì che gli scienziati si gettino nella mischia e interagiscano con i media. Proprio questo è il motivo per cui il nostro Centro è stato fondato», ha spiegato Hannah Taylor-Lewis, addetta stampa dello Science Media Centre, intervenendo durante un incontro sul tema organizzato dall’Ambasciata britannica a Roma lo scorso giovedì 31 marzo.

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Ucraina: la solidarietà della comunità scientifica italiana

[pubblicato su Scienza in rete l’11 marzo 2022]

Dopo che il terremoto di magnitudo 6,3 colpì nel 2009 la città dell’Aquila, il matematico Bruno Rubino, oggi prorettore agli affari internazionali dell’Università dell’Aquila, concluse lezioni della laurea magistrale internazionale in Ingegneria Matematica a Brno in Repubblica Ceca, dove trovarono ospitalità anche i suoi studenti. Forse per questo l’università abruzzese è stata tra le prime a mobilitarsi per aiutare studenti, ricercatori e professori ucraini in fuga dalla guerra.

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L’impatto di Covid-19 sulla mortalità generale

[pubblicato su Scienza in rete il 9 marzo 2022]

Mentre cresce il numero di vittime causate dalla guerra russa contro l’Ucraina, arrivano nuovi dati sulle vittime della pandemia, a ricordarci l’assurdità del periodo che stiamo vivendo con due crisi che si accavallano accompagnate dai loro bollettini quotidiani di morte e distruzione. Mercoledì scorso ISTAT e ISS hanno infatti pubblicato il settimo rapporto sull’impatto di Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione italiana, che ha stimato un eccesso del 16% nel 2020 e del 10% nel 2021 rispetto ai decessi attesi sulla base dei cinque anni precedenti alla pandemia.

L’eccesso di mortalità è considerato uno degli indicatori più sintetici dell’impatto della pandemia su un paese. Quantifica non solo le vittime dirette dell’infezione, ma anche tutti coloro che sono morti per le conseguenze indirette dell’infezione, per esempio l’abbassamento del livello di assistenza sanitaria causato dal sovraccarico dei sistemi di cura, in particolare degli ospedali.

Stimare l’eccesso di mortalità, la differenza tra le morti registrate e quelle attese sulla base dei dati storici, è un compito tutt’altro che semplice. La domanda a cui si deve dare risposta è: «quante morti ci saremmo aspettati se non ci fosse stata la pandemia?». I dati sul passato costituiscono infatti solo una base di partenza per rispondere a questa domanda. Le stime dell’ISTAT che abbiamo citato all’inizio si riferiscono all’approccio più semplice al problema: prendere le morti osservate tra il 2015 e il 2019, calcolarne una media e confrontarle con quelle osservate nel 2020 e nel 2021.

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La grande speranza degli antivirali orali contro il Covid-19

[pubblicato su Domani il 19 febbraio 2022]

  • Paxlovid, e in misura minore anche molnupiravir, rappresentano una grande speranza per coloro che hanno sistemi immunitari che non reagiscono bene o per niente alla vaccinazione
  • Finora gli antivirali si sono dimostrati più robusti degli anticorpi monoclonali rispetto alle varianti del virus, in particolare Omicron.
  • Mentre molnupiravir è una molecola riposizionata, Paxlovid non esisteva prima che la pandemia cominciasse.

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Covid-19 ha monopolizzato la ricerca biomedica

[pubblicato su Scienza in rete il 18 febbraio 2022]

L’ageusia, la perdita del gusto, era un argomento di nicchia nella ricerca biomedica fino a gennaio 2020. PubMed, il database curato dai National Institutes of Health statunitensi che raccoglie le pubblicazioni in ambito medico e biologico di tutta la comunità scientifica internazionale, ne contava circa 9 nel 2018 e 7 nel 2019. Lo scoppio della pandemia ha cambiato le cose e nel 2020 gli articoli riguardanti questa patologia sono stati 176. Lo stesso è accaduto per la quarantena, circa 700 pubblicazioni sul tema nel 2018 e 2019 e 3 500 nel 2020, o per le mascherine, 470 nel 2018, 684 nel 2019 e oltre 2 000 articoli nel 2020. Ma all’ascesa di ageusia, quarantena e mascherine, insieme ad altri argomenti di ricerca legati a Covid-19, è corrisposta una contrazione dell’attenzione dei ricercatori verso quelli non legati alla pandemia.

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Rapporto CNR su ricerca e innovazione: si confida sul PNRR

[pubblicato su Scienza in rete il 16 febbraio 2022]

È stata presentata ieri nella sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) a Roma la terza Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia, coordinata da Daniele Archibugi, dirigente dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR alla presenza della ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa e della presidente del CNR Maria Chiara Carrozza.

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Antivirali contro SARS-CoV-2: come funzionano e come sono stati scoperti

[pubblicato su Scienza in rete il 12 febbraio 2022]

Il primo ciclo del farmaco antivirale Paxlovid, sviluppato dalla multinazionale statunitense Pfizer contro Covid-19, è stato somministrato la scorsa settimana all’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma a un uomo di 54 anni con patologie cardiovascolari che lo esponevano a un rischio aumentato di andare incontro alle forme più gravi dell’infezione. Il trattamento per essere efficace deve cominciare entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi e prevede l’assunzione di tre pillole due volte al giorno per cinque giorni. Delle tre pillole, due contengono il principio attivo nirmatrelvir, una molecola capace di inibire il processo di replicazione del SARS-CoV-2 all’interno della cellula ospite. La terza pillola contiene invece il ritonavir, un agente antivirale inizialmente formulato per trattare l’infezione con HIV, il virus che causa l’AIDS, e che serve a mantenere alta la concentrazione del nirmatrelvir nel sangue per un tempo sufficientemente lungo ad avere l’effetto desiderato.

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Gli occhi del cuore

[pubblicato su Scienza in rete il 4 febbraio 2022]

Un’intelligenza artificiale capace di dedurre la massa e il volume del ventricolo sinistro del cuore analizzando l’immagine della retina e da lì stabilire se il paziente è a rischio di andare incontro a un infarto del miocardio. È l’ultima applicazione in ambito medico di un sistema di deep learning pubblicata la scorsa settimana su Nature Machine Intelligence da un gruppo di matematici, informatici e cardiologi coordinati da Alejandro Frangi, professore di medicina computazionale alla University of Leeds e dal 2019 membro del comitato per le tecnologie emergenti della Royal Academy of Engineering, e Andres Diaz-Pinto, ricercatore al King’s College London.

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Cellule T e la strada verso un vaccino universale contro i coronavirus

[pubblicato su Scienza in rete il 28 gennaio 2022]

Quando Omicron è emersa in Sudafrica a fine novembre, i ricercatori del La Jolla Institute for Immunology (LJI) a San Diego in California avevano un vantaggio: saper preparare i reagenti necessari a valutare la tenuta dell’intera risposta immunitaria delle persone vaccinate nei confronti della nuova variante del SARS-CoV-2.

Il grande numero di mutazioni presenti nella regione della proteina spike chiamata receptor binding domain lasciava intuire che gli anticorpi prodotti dopo aver ricevuto i vaccini formulati sulla base della virus ancestrale, quello isolato a Wuhan alla fine del 2019, avrebbero fatto fatica a riconoscere Omicron e quindi a bloccare l’infezione.

Le speranze del gruppo coordinato da Alessandro Sette, Daniela Weiskopf e Shane Crotty erano le cellule T, la componente della risposta immunitaria che coordina l’attivazione delle cellule B inducendole a produrre anticorpi al momento di un nuovo incontro col virus ma che è anche in grado di riconoscere le cellule infettate ed eliminarle.

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Covid e scuola, serve un piano razionale per gli impianti di ventilazione

[pubblicato su Domani il 27 gennaio 2022]

  • Il SARS-CoV-2 si trasmette soprattutto tramite aerosol, le goccioline che emettiamo parlando e respirando sufficientemente leggere da galleggiare nell’aria e percorrere anche diversi metri. Un gruppo di fisici e ingegneri ha messo a punto un modello che valuta il rischio di contagio al chiuso.
  • Alcune scuole hanno acquistato dei purificatori d’aria, ma il modello indica che da soli sono ampiamente insufficienti a ridurre significativamente il rischio di infezione data l’elevata contagiosità di Omicron, servono le mascherine Ffp2.
  • Dotare le scuole di impianti di ventilazione meccanica è utile al di là del Sars-CoV-2: molti altri virus respiratori si trasmettono via aerosol e altri ne potrebbero emergere. Ma è fondamentale che questi interventi siano ben pianificati.

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Immagine di copertina di Akbarali.

L’impatto della ventilazione sul contagio al chiuso

[pubblicato su Scienza in rete il 21 gennaio 2022]

In questi giorni si discute molto della situazione delle scuole in Italia durante la quarta ondata della pandemia guidata dalla variante Omicron. I primi dati sembrano descrivere una situazione migliore di quella temuta visto l’enorme numero di contagi registrati all’inizio di gennaio.

Mercoledì, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha comunicato alla Commissione Cultura della Camera i risultati di un’indagine svolta dal suo Ministero, a cui hanno aderito 308 mila classi, circa l’82% del totale. Sarebbero circa il 6,5% le classi chiuse o in DAD in questo momento nel paese. I dati pubblicati lo stesso giorno dalla Direzione Generale Welfare della Regione Lombardia, sembrano confermare questa stima, almeno in media. Le classi della scuola primaria chiuse in Lombardia sarebbero il 9% circa, quelle secondarie di I e II grado tra il 6 e il 7%. Per le scuole dell’infanzia è difficile dare una stima perché Regione Lomabardia le aggrega con gli asili nido.

Sempre in Lombardia, nella prima settimana di riapertura dopo le vacanze di Natale, l’incidenza settimanale ogni 100’000 abitanti è cresciuta in tutte le fasce di età della popolazione scolastica (+27% nidi, + 77% per l’infanzia, +43% per la primaria e +7% per le medie), tranne che per quella 14-18 anni, dove si è registrata una flessione del 20% rispetto alla settimana precedente. Vale però la pena osservare che nelle settimane di chiusura delle scuole, l’incidenza era anche raddoppiata da una settimana all’altra.

Spaventati dalla situazione epidemiologica, alcuni presidi alla vigilia delle riaperture hanno cercato di mettere in campo nuovi strumenti per ridurre il rischio di contagio nelle aule. L’attenzione di alcuni è andata verso gli apparecchi per la purificazione dell’aria negli ambienti chiusi. Sappiamo infatti che il SARS-CoV-2 si trasmette anche, e probabilmente soprattutto, attraverso l’aerosol, le goccioline che emettiamo nell’atto di respirare o parlare e che sono sufficientemente piccole (possiamo immaginarle come sfere di diametro inferiore ai 100 micrometri, cioè un decimo di millimetro) e quindi leggere da galleggiare nell’aria della stanza e percorrere anche diversi metri. L’apertura di porte e finestre, la ventilazione meccanica, cioè lo scambio tramite pompe dell’aria interna con quella esterna, oppure la purificazione tramite raggi UV o filtri HEPA sono dunque stati indicati come strumenti di contrasto dell’epidemia, non soltanto nelle scuole ma in tutti i luoghi chiusi.

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Il test rapido antigenico per il Covid-19 serve a contenere la pandemia

[pubblicato su Domani il 20 gennaio 2022]

  • Dal 19 gennaio i cittadini dell’Emilia Romagna possono utilizzare un test antigenico autosomministrato sia per certificare l’infezione e iniziare l’isolamento domiciliare sia per terminarlo dopo sette giorni se ottengono un risultato negativo.
  • Per capire l’attendibilità dei test è necessario ragionare in termini probabilistici e sfruttare il teorema di Bayes, che mette in relazione la probabilità di essere infetti o non infetti una volta ricevuto il risultato del test con la sensibilità del test, la sua specificità e anche la probabilità di essere infetti prima di sottoporsi al test.
  • I test antigenici rapidi sono particolarmente adatti come strumento di controllo del contagio, soprattutto nella popolazione degli asintomatici che giocano un ruolo importante nella trasmissione dell’infezione. Rispetto ai test molecolari, gli antigenici hanno l’enorme vantaggio di restituire i risultati in tempo praticamente reale permettendo il pronto isolamento dei contagiosi.

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L’immagine di copertina è di dronepcr.

How the brain finds patterns in images

[pubblicato su Nature Italy il 20 gennaio 2022]

Rats and humans are sensitive to the same statistical features of visual textures. The finding could help design new experiments on the visual system.

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Il ruolo dei test antigenici rapidi nel controllo dell’epidemia

[pubblicato su Scienza in rete il 14 gennaio 2022]

Dallo scorso lunedì, nel Regno Unito le persone asintomatiche che ottengono un risultato positivo da un test antigenico rapido, anche effettuato a casa autonomamente, non devono sottoporsi a un test RT-PCR di conferma. Il motivo della decisione presa dalla UK Health Security Agency (UKHSA), l’agenzia di salute pubblica britannica, è l’elevata prevalenza dell’infezione da SARS-CoV-2 nella popolazione inglese. Stando all’ultimo rapporto pubblicato dall’Office for National Statistics, che esegue test settimanali su un campione rappresentativo della popolazione, circa il 6,7% dei cittadini inglesi sarebbe in questo momento contagiato, un totale di circa 4 milioni di persone.

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Omicron corre: fondamentali i richiami

[pubblicato su Scienza in rete il 19 dicembre 2022]

Nell’aggiornamento pubblicato venerdì sulla diffusione della variante Omicron in Inghilterra, la UK Health Security Agency (UKSHA), l’agenzia di salute pubblica britannica, ha stimato che dei tamponi positivi effettuati il 14 dicembre, il 54,2% siano da attribuire alla variante Omicron. La situazione non è uniforme: Londra sembra essere più avanti del resto della nazione, con Omicron responsabile di più dell’80% dei nuovi contagi. Ma il dato più preoccupante riguarda la velocità con cui la variante si sta diffondendo e sta sostituendo Delta. Due giorni prima, il 12 dicembre, la prevalenza era al 33% e un giorno prima al 42%. In tutte le regioni inglesi tranne quella sudoccidentale, il tempo di raddoppio dei casi di Omicron è inferiore a due giorni, nella regione di Birmingham è in media di un giorno e mezzo. Per confronto, tra fine maggio e inizio luglio quando la Delta ha investito il paese rimpiazzando Alfa, lo studio REACT-1 condotto dall’Imperial College stimava un tempo di raddoppio di 17 giorni.

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Omicron raddoppia ogni due giorni nel Regno Unito. Da noi? Non lo sappiamo

[pubblicato su Domani il 18 dicembre 2021]

  • Omicron è la variante del Sars-CoV-2 più trasmissibile che abbiamo visto finora, e con la maggiore capacità di eludere la risposta immunitaria sviluppata dopo vaccinazione o infezione naturale.
  • Due dosi di vaccino offrono una protezione estremamente ridotta dal contagio, mentre sembrerebbe che quella dalla malattia grave resti sostanziale, almeno per i vaccini a mRna. Una terza dose di Pfizer sembra riportare la protezione sia dal contagio sia dalla malattia grave.
  • E in Italia cosa sta succedendo? Non è chiaro se stiamo raccogliendo i dettagli dei risultati dei test Pcr sui tamponi positivi, che ci permetterebbero di capire anche solo approssimativamente come stanno le cose. Se lo stiamo facendo questi dati non sono pubblici. L’Istituto superiore di sanità, che abbiamo contattato per un commento, non ha risposto alle nostre richieste.

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Immagine di copertina: Number 10 (CC BY-NC-ND 2.0).

La sfida dell’IA per l’Italia: colloquio con Nicolò Cesa-Bianchi

[pubblicato su Scienza in rete il 10 dicembre 2021]

A metà novembre i quattro atenei milanesi, Statale, Bicocca, Bocconi e Politecnico, hanno annunciato la nascita di una unità locale di ELLIS, l’associazione europea di ricercatori sull’intelligenza artificiale e il machine learning. Una settimana dopo il Consiglio dei Ministri ha approvato il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale per il triennio 2022-2024, sviluppato dal Ministero dell’Università e della Ricerca insieme al Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale. In un certo senso, l’accordo stretto dalle quattro università milanesi per collaborare all’interno di ELLIS rappresenta un esperimento su scala metropolitana di quello che il Programma Strategico vorrebbe che avvenisse a livello nazionale. Abbiamo parlato di questi temi con Nicolò Cesa-Bianchi, informatico all’Università Statale di Milano e attuale coordinatore della ELLIS Unit milanese.

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Cosa sappiamo su Omicron, e cosa possiamo aspettarci

[pubblicato su Scienza in rete il 3 dicembre 2021]

Lo scorso venerdì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha designato la variante B.1.1.529 del SARS-CoV-2 come variant of concern, variante preoccupante e gli ha assegnato la lettera greca Omicron. È stata rilevata per la prima volta in una manciata di campioni prelevati l’8 novembre nella provincia del Gauteng in Sudafrica, dove è in corso un rapido aumento dei casi. Oltre all’accelerazione del contagio, la variante preoccupa per il gran numero di mutazioni presenti nel  suo genoma, più di 50. Oltre 30 di queste si trovano sulla parte dell’RNA virale che determina la forma della proteina spike del virus, quella responsabile per l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite, e che rappresenta il bersaglio degli anticorpi prodotti in seguito all’infezione o alla vaccinazione. La variante Omicron è stata rilevata in una serie di stati dell’Africa meridionale e poi in diversi paesi del mondo, compresi quattro casi in Italia originati da un cittadino residente in Campania rientrato da un viaggio in Mozambico che ha poi contagiato i suoi familiari e altri conoscenti.

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Covid-19 e variante Omicron: quando raggiungeremo lo stato di endemia?

[pubblicato su Domani il 27 novembre 2021]

  • Se Sars-CoV-2 seguisse il percorso che si ipotizza abbiano seguito gli altri quattro coronavirus endemici, gli scienziati ritengono che uno stato di endemia benigno, ovvero con un basso tasso di letalità nella popolazione, sarà raggiunto quando in media la prima infezione si verificherà tra i 4 e i 5 anni di età.
  • L’infezione naturale nei bambini sotto i 5 anni potrebbe essere preferibile alla vaccinazione, se conferisse un’immunità duratura dalla malattia grave capace di proteggere al momento delle reinfezioni nella vita adulta e potrebbe anche contribuire a mantenere la circolazione del virus sufficientemente alta per permettere che gli adulti mantengano aggiornata la loro immunità con incontri frequenti col virus.
  • Ma sappiamo ancora troppo poco sugli effetti di lungo termine dell’infezione nei bambini e sulle caratteristiche dell’immunità che si costruirebbero con un’infezione naturale nei primi anni di vita. Le decisioni di salute pubblica nei prossimi mesi devono dunque tenere conto di queste incertezze.

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Immagine di copertina di UN Women Asia and the Pacific (CC BY-NC-ND 2.0).

SARS-CoV-2 e nuova variante: come arriveremo all’endemia?

[pubblicato su Scienza in rete il 26 novembre 2021]

Venerdì, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assegnato alla nuova variante del SARS-CoV-2 B.1.1.529, l’etichetta di variante preoccupante e l’ha denominata Omicron. È stata rilevata per la prima volta in Sudafrica in un campione prelevato il 9 novembre scorso e sembra essere associata a un veloce aumento dei casi nel paese. Diversi paesi, tra cui anche l’Italia, hanno imposto limitazioni ai viaggi dal Sudafrica e da altri sei paesi del continente africano dove ci sono casi segnalati. Un primo caso di variante Omicron è stato rilevato anche in Europa, in una donna non vaccinata rientrata in Belgio dall’Egitto e senza legami diretti col Sudafrica o con gli altri sei paesi banditi. L’OMS ha invitato alla cautela. Serviranno diverse settimane per capire se il grande numero di mutazioni presenti sulla proteina spike, responsabile per l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite, hanno implicazioni per la diagnostica, i vaccini e i trattamenti a nostra disposizione. La preoccupazione è che possa essere più trasmissibile e capace di evadere la risposta immunitaria suscitata dai vaccini e dalle infezioni rispetto alle precedenti varianti, compresa la Delta.

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Il machine learning migliora le previsioni meteo

[pubblicato su Scienza in rete il 13 novembre 2021]

Il sogno di Fenwick Cooper era quello di sviluppare un modello matematico per descrivere il moto turbolento dei fluidi, un problema sul quale i fisici si sono scervellati per cento anni. «Mi sono reso conto che non sarei stato io a scoprire questa nuova incredibile teoria». Così Cooper, che oggi collabora con lo European Centre for Medium-Range Weather Forecast (ECMWF), è sceso a compromessi e si è specializzato in modelli numerici della turbolenza, «questo è il percorso che mi ha portato a conoscere e impiegare sistemi di machine learning per descrivere la dinamica dell’atmosfera e degli oceani».

Cooper è l’autore di uno studio su come gli strumenti di machine learning potrebbero migliorare il sistema di previsioni integrato dell’ECMWF sulla temperatura dell’aria e la velocità del vento vicino alla superficie terrestre. Lo studio è stato finanziato al 50% dalla International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development (IFAB) con sede a Bologna ed è stato presentato per la prima volta lo scorso 9 novembre in un seminario online.

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Vaccino, a chi serve davvero la terza dose e perché sappiamo così poco sugli effetti

[pubblicato su Domani il 9 ottobre 2021]

  • Lunedì, nel raccomandare la terza dose per le persone immunocompromesse, l’agenzia del farmaco europea EMA ha considerato due studi su pazienti con trapianto di organo solido.
  • Per queste popolazioni particolari, si hanno a disposizione solo informazioni riguardo l’immunogenicità dei vaccini ma non riguardo l’efficacia verso l’infezione o le forme severe o letali della malattia. In altre parole non si può stimare di quanto i vaccini riducano il rischio di infettarsi e ammalarsi.
  • Tra le popolazioni meno numerose per cui viene raccomandata la somministrazione della terza dose c’è quella delle persone con difetti congeniti del sistema immunitario.

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Immagine di copertina da Pixnio.

Algoritmi in medicina: come vigilare sulla loro affidabilità

[pubblicato su Scienza in rete il 9 novembre 2021]

Due anni fa Facebook ha inserito nella sua applicazione la funzione “Why am I seeing this post?” per permettere ai suoi utenti di capire di più sul funzionamento dell’algoritmo che regola il news feed, il flusso di post di amici, amici degli amici, pagine e gruppi che ci viene mostrato quando accediamo. È uno dei tentativi per rendere più trasparente e comprensibile il complicato algoritmo, o più correttamente l’insieme di complicati algoritmi, che animano la più grande piattaforma digitale di interazioni sociali del mondo, non solo per gli utenti ma prima di tutto per gli stessi programmatori che l’hanno costruita.

Ora immaginiamo che l’algoritmo in questione invece di decidere quali post visualizzare e in che ordine, analizzi l’immagine di una radiografia del torace e suggerisca ai medici che ci hanno in cura la diagnosi di polmonite. Come viene utilizzata questa informazione? E come viene comunicato ai pazienti l’esito dell’algoritmo e il ruolo che questo ha avuto nel suo piano terapeutico? Una delle strategie proposte per rendere più affidabili, accettabili e utilizzati gli algoritmi di machine learning in ambito medico è quella di corredarli con sistemi di explanation, spiegazione, nello stile del “Why am I seeing this post?”. Nel caso dell’immagine radiografica del torace, un esempio di spiegazione potrebbe essere una mappa di rilevanza, che mostra cioè su quali aree dell’immagine l’algoritmo si è “concentrato” di più per arrivare alla classificazione di “polmonite”.

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Medicane: cosa ci aspetta col cambiamento climatico?

[pubblicato su Scienza in rete il 29 ottobre 2021]

Dopo aver provocato già tre vittime, una perturbazione con caratteristiche simili a quelle di un ciclone tropicale sta interessando la costa orientale della Sicilia e della Calabria. Da mezzanotte il lungomare di Catania è chiuso perché sono previste onde fino a 5 metri di altezza e venti fino a 120 chilometri orari.

Eventi di questo tipo vengono chiamati Medicane, da Mediterranean hurricane. «Si tratta di cicloni che possono manifestare caratteristiche differenti in fasi diverse del loro ciclo di vita. Infatti si possono identificare due fasi. La loro genesi è tipica dei cicloni extra-tropicali che si osservano frequentemente alle medie latitudini, ma in certe condizioni possono evolvere in fenomeni simili agli uragani che si sviluppano nelle fasce tropicali degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano», spiega Mario Marcello Miglietta, meteorologo dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR a Padova (uragani è il nome che viene dato ai cicloni tropicali sull’Atlantico).

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The pandemic could worsen the gender gap in research

[pubblicato su Nature Italy il 27 ottobre 2021]

More evidence that school closures and lockdowns damaged the productivity and career prospects of female researchers.

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Cover image: Nenad Stojkovic (CC BY 2.0).

Covid, la lezione della Gran Bretagna: i vaccini non bastano a fermare l’epidemia

[pubblicato su Domani il 26 ottobre 2021]

  • Fare previsioni sull’epidemia in questo periodo è estremamente difficile, più di quanto non fosse un anno fa. Le variabili in gioco sono molte di più: la velocità e l’entità della diminuzione di efficacia dei vaccini, il ritmo della campagna per i richiami, l’evoluzione nei comportamenti individuali.
  • L’assenza di misure di sicurezza nelle scuole inglesi ha fatto crescere l’incidenza del contagio nella fascia 12-17 anni (n Scozia, dove le mascherine sono obbligatorie per insegnanti e studenti delle scuole secondarie, l’incidenza tra i ragazzi è in discesa).
  • I ragazzi stanno ora trainando la ripresa dell’epidemia anche tra i più anziani, più vulnerabili perché tra i primi a essere stati vaccinati.

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Immagine di copertina di Number 10 (CC BY-NC-ND 2.0).

Quanto dura la protezione dei vaccini? Cosa dicono i dati sull’Italia

[pubblicato su Domani il 22 ottobre 2021]

  • I dati epidemiologici indicano una flessione nell’efficacia dei vaccini soprattutto tra gli anziani e in qualche caso anche verso le forme gravi della malattia.
  • Per fortuna gli immunologi in laboratorio osservano una risposta durevole, robusta e che continua a maturare anche a mesi dalla vaccinazione.
  • Ad agosto, però, Israele ha stimato che l’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech nell’evitare le forme gravi della malattia negli over 65 che avevano ricevuto la seconda dose a gennaio e febbraio era scesa da 95 per cento a 60.

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Immagine di copertina di Raimond Spekking (CC BY-SA 4.0).

Quanto dura la protezione offerta dai vaccini contro Covid-19?

[pubblicato su Scienza in rete il 22 ottobre 2021]

Un elemento determinante per cercare di capire in quale direzione stia procedendo l’epidemia di Covid-19, soprattutto nei paesi occidentali che hanno vaccinato percentuali elevate della popolazione, è la durata dell’immunità conferita dai vaccini. La domanda è ancora aperta dal punto di vista scientifico e i ricercatori stanno provando a rispondere sulla base dei dati epidemiologici raccolti sul campo da una parte e di quelli immunologici raccolti in laboratorio dall’altra.

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Cosa fare con il richiamo: intervista a Stefania Salmaso

[pubblicato su Scienza in rete il 9 ottobre 2021]

L’8 ottobre, il Ministero della Salute ha emesso una circolare con cui ha esteso a tutti gli over 60 la raccomandazione per il richiamo ai vaccini anti-Covid-19 da somministrare ad almeno sei mesi dalla seconda dose. La decisione arriva a due giorni dalla pubblicazione del quarto rapporto sull’efficacia dei vaccini da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, che però ha rilevato una diminuzione dell’efficacia solo nelle popolazioni vulnerabili e, leggermente, tra gli over 80. Per questi due gruppi, il Ministero aveva già dato indicazione il 14 e il 27 settembre della necessità di ricevere una terza dose per completare il ciclo vaccinale e una dose di richiamo, rispettivamente.

L’analisi dell’Istituto è basata su 29 milioni di persone vaccinate tra il 27 dicembre 2020 e metà agosto 2021. Le notizie sono buone: nella popolazione generale non si osserva, a sei mesi dalla somministrazione della seconda dose, una riduzione significativa dell’efficacia dei vaccini nell’evitare l’infezione (89%) il ricovero in reparto ordinario o in terapia intensiva (96%) e la morte (99%). Una flessione nella protezione conferita dai vaccini si osserva solo nei gruppi con sistema immunitario debole (passa dal 75% al 52% a 4-7 mesi dalla seconda dose) e nelle persone sopra gli 80 anni e i residenti delle RSA (resta comunque superiore all’80% a 7 mesi dalla seconda dose).

L’analisi ha anche confrontato l’efficacia dei vaccini nella fase epidemica dominata dalla variante Alfa con quella dominata dalla variante Delta. Come osservato anche in altri paesi, i vaccini sembrano perdere forza contro la Delta rispetto alla Alfa: l’efficacia nell’evitare l’infezione passa dall’84% al 67%. Tuttavia, la protezione verso la malattia grave resta molto elevata in entrambi i periodi, 92% nella fase dominata da Alfa e 89% nella fase dominata da Delta. Difficile dire, sottolineano i ricercatori dell’Istituto, se la perdita di efficacia sia dovuta a un declino dell’immunità nel tempo, soprattutto nella popolazione vaccinata all’inizio della campagna, oppure a un’abilità biologica della variante Delta di evadere parzialmente la risposta immunitaria suscitata dai vaccini che, ricordiamo, sono stati formulati sulla base del ceppo virale circolante a Wuhan all’inizio della pandemia.

Lunedì l’Agenzia europea del farmaco (EMA) ha espresso il suo parere riguardo l’opportunità di somministrare una terza dose come richiamo nella popolazione generale. EMA ha confermato che è raccomandata la somministrazione della terza dose a 4 settimane dalla seconda nelle persone con sistema immunitario debole e deve essere intesa come completamento del ciclo vaccinale primario, mentre ha lasciato alle autorità sanitarie nazionali la decisione sul richiamo nella popolazione generale, dichiarando solo che la sua somministrazione a sei mesi di distanza dalla seconda è sicura.

Ne abbiamo parlato con Stefania Salmaso, epidemiologa delle malattie infettive, fino al 2015 a capo del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore di Sanità.

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How COVID-19 will impact CO2 emissions in Italy

[pubblicato su Nature Italy il 30 settembre 2021]

An interdisciplinary study estimates that pandemic’s effect on quashing energy consumption will be felt for a decade, and may contribute to fewer greenhouse gas emissions.

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Immagine di copertina di Mark Howanessian (CC BY 3.0).

Inquinamento dell’aria: anche sotto i valori limite danneggia la salute

[pubblicato su Scienza in rete il 18 settembre 2021]

Anche livelli di inquinamento dell’aria al di sotto dei limiti indicati dall’Unione Europea, dall’agenzia di protezione ambientale statunitense EPA e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità aumenterebbero nel lungo termine il rischio di morire e di sviluppare una serie di malattie respiratorie e cardiovascolari. In particolare, anche basse concentrazioni di biossido di azoto rappresenterebbero una minaccia per la salute umana.

Sono i risultati di uno studio pubblicato questa settimana dal progetto europeo ELAPSE (e parzialmente anticipati all’inizio del mese in un articolo sul British Medical Journal), che si è concentrato sull’associazione tra inquinamento dell’aria e incidenza della mortalità e di una serie di patologie analizzando i dati relativi a 28 milioni di cittadini residenti in sette paesi europei per circa 20 anni, dal 1990 al 2010.

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Acqua alta a Venezia: fino a quando basterà il MoSE?

[pubblicato su Scienza in rete il 10 settembre 2021]

Dopo quasi cinquant’anni dalla Legge Speciale per Venezia, approvata nel 1973 per definire gli interventi di salvaguardia della città in seguito alla tremenda alluvione del novembre 1966, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico (MoSE) si appresta a entrare in funzione. I 78 pannelli mobili disposti sulle tre bocche di porto della Laguna di Venezia verranno azionati quando il livello dell’acqua supererà i 110 centimetri rispetto a un livello di riferimento chiamato Zero Mareografico di Punta Salute, all’ingresso del Canale della Giudecca. Questo non impedirà che Piazza San Marco si allaghi, trovandosi essa in una delle zone più basse del centro storico, circa 80 centimetri più in alto di Punta Salute. Il livello della pavimentazione cittadina è estremamente variabile, se si pensa che passeggiando vicino al Ponte di Rialto si è a circa 105 centimetri sopra Punta Salute, mentre alla stazione di Venezia Santa Lucia a 135 centimetri.

L’efficacia del MoSE nel proteggere Venezia dipenderà nel breve termine dalla capacità di prevedere il livello dell’acqua nella laguna con sufficiente precisione e anticipo, e nel lungo termine dall’impatto del cambiamento climatico.

Sono queste le domande cui ha provato a dare risposta una edizione speciale della rivista Natural Hazads and Earth System Sciences pubblicata la scorsa settimana, passando in rassegna le conoscenze scientifiche accumulate finora ed elaborandone una sintesi.

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Extreme epidemics are more likely than expected

[pubblicato su Nature Italy il 31 agosto 2021]

A statistical analysis of infectious diseases since 1600 shows a 38% probability of witnessing a pandemic as intense as COVID-19 in a lifetime.

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Cover image: Volunteer nurses from The American red cross during flu epidemic (1918). Original image from Oakland Public Library.

Infezioni, contagio, mascherine: cosa rischiano davvero i vaccinati

[pubblicato su Domani il 1 agosto 2021]

  • I vaccini che abbiamo a disposizione sono estremamente efficaci nell’evitare le forme gravi della malattia, questo è vero anche con la variante Delta.
  • Chi si infetta ad almeno due settimane dal completamento del ciclo vaccinale sviluppa prevalentemente sintomi lievi, ma non è chiaro se e quanto sia contagioso.
  • I dati relativi a un focolaio di 469 infezioni nella cittadina di Provincetown, nello stato del Massachusetts, sembrano indicare che il carico virale dei vaccinati che si infettano sia simile a quello dei non vaccinati che si infettano.

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Immagine di copertina di byronv2 (CC BY-NC 2.0).

Come crescere bambini che non diventino degli stronzi

[pubblicato su Scienza in rete il 25 luglio 2021]

Da quando è cominciata la pandemia un anno e mezzo fa, mia figlia che adesso ha tre anni, ha passato molto tempo a casa, mentre io e mio marito lavoravamo chiusi a turno in una stanza. Ci siamo divisi il tempo di cura e di lavoro equamente, e mio marito cucina e si occupa della casa forse più di quanto non faccia io. Eppure, quando è il mio turno di lavoro mia figlia si dispera e piangendo dice che non vuole che io lavori. Al contrario, quando è il turno di mio marito, lo accompagna alla scrivania e gli augura buon lavoro.

Nonostante la nostra attenzione nell’organizzazione della vita familiare, mia figlia ha evidentemente già aspettative diverse nei nostri confronti e capire come gestirle è tutt’altro che semplice. Per questo è stato un sollievo imbattersi nel libro appena pubblicato dalla giornalista scientifica Melinda Wenner Moyer, Come crescere bambini che non siano stronzi. Strategie per una genitorialità migliore basate sulle prove scientifiche (G.P. Putnam’s Sons, 352 pagine, 20 luglio 2021). Continua a leggere Come crescere bambini che non diventino degli stronzi

Cosa sappiamo sulla variante Delta e l’efficacia dei vaccini

[pubblicato su Domani il 23 luglio 2021]

  • La variante Delta è notevolmente più trasmissibile della variante Alfa, che è a sua volta più trasmissibile della variante che ha causato la prima ondata dell’epidemia in Europa, quella della primavera del 2020. Se una persona infetta nella prima ondata, in assenza di misure di distanziamento sociale, contagiava in media tre persone, chi si contagia oggi con Delta trasmette in media il virus a otto persone.
  • Uno studio dell’agenzia di salute pubblica inglese ha stimato che l’efficacia di evitare l’infezione sintomatica con Delta di una singola dose di AstraZeneca o Pfizer-BioNTech è notevolmente ridotta rispetto a quella che si osservava con Alfa (scesa da 49% a 30% per AstraZeneca e da 48% a 36% per Pfizer-BioNTech), l’efficacia di due dosi di vaccino rimane invece molto elevata (scesa da 75% a 67% per AstraZeneca e da 94% a 88% per Pfizer-BioNTech).
  • Stime preliminari suggeriscono che la protezione dai decorsi gravi resta invariata e pari circa al 94%. Il virus ha mostrato di avere spazio per evolvere guadagnando in trasmissibilità e in capacità di evadere la risposta immunitaria stimolata dai vaccini, anche se in modo marginale. Limitare la circolazione del virus è cruciale per evitare che i vaccini diventino armi spuntate

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L’immagine di copertina è di . Arne Müseler/Wikimedia Commons. Licenza: CC-BY-SA-3.0 DE.

Last call for Italy’s membership in FAIR

[pubblicato su Nature Italy il 19 luglio 2021]

Europe’s next big accelerator facility is under construction in Germany. Research director Paolo Giubellino explains what makes it unique, and why Italy still has an opportunity to be a partner.

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Cover image: the FAIR site in Darmstadt, Germany, Credit: GSI Helmholtzzentrum für Schwerionenforschung GmbH, M. Konradt. Terms of use: here.

Protein folding per tutti

[pubblicato su Scienza in rete il 17 luglio 2021]

Le proteine sono le molecole fondamentali per i processi biologici e la loro struttura tridimensionale, cioè il modo in cui gli aminoacidi che le compongono sono distribuiti nello spazio, è strettamente legata alle funzioni che svolgono. Conoscere questa struttura è un compito tutt’altro che semplice. Sperimentalmente può essere estremamente oneroso e in alcuni casi impossibile. Da cinquant’anni gli scienziati cercano di sviluppare dei metodi computazionali, che inferiscano la struttura a partire dalla sequenza di aminoacidi che costituiscono la proteina. Ora la soluzione potrebbe essere a portata di mano, e non di pochi ricercatori ma della comunità intera.

In due articoli pubblicati giovedì su Nature e Science, la società londinese DeepMind specializzata in tecniche di deep learning e un gruppo di ricercatori guidato da David Baker, biologo strutturale della University of Washington, hanno descritto due algoritmi basati su reti neurali profonde che prevedono in modo estremamente accurato la struttura delle proteine a partire dalle sequenze di aminoacidi. In alcuni casi la loro precisione è confrontabile con quella delle strutture misurate sperimentalmente tramite la cristallografia a raggi X o la criomicroscopia elettronica. Contestualmente hanno messo a disposizione gratuitamente il codice per il calcolo di queste strutture, anche se con alcune differenze dal punto di vista dell’accessibilità.

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Diritti LGBTQ+ nel mondo scientifico: intervista ad Alfredo Carpineti

[pubblicato su Scienza in rete il 9 luglio 2021]

Qualche settimana fa, una delle nostre autrici ci ha chiesto di aggiungere al suo profilo i suoi pronomi di genere, “she/her”. Si tratta di Katinka Bellomo, ricercatrice del Politecnico di Torino, che ha scritto per noi un articolo su una recente ricerca che ha coordinato riguardo alle sorgenti dell’incertezza sulle previsioni del clima in Europa. «Normalizzare l’uso dei pronomi di genere in ogni tipo di interazione sociale permette a tutte le persone di poter dichiarare la propria identità di genere, che non sempre corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita, senza imbarazzo o paura di ritorsioni», spiega Bellomo. «Inoltre, credo che l’uso dei pronomi aiuti ad abbattere gli stereotipi di genere e dunque diminuire la pressione a conformarsi ad essi. Per esempio, intraprendere una carriera piuttosto che un’altra, desiderare o meno di avere una famiglia, o semplicemente come vestirsi ogni mattina. Se si slegassero queste scelte di vita dal sesso biologico, ci sarebbe più uguaglianza», aggiunge.

Dalla sua richiesta è nato un confronto interno alla redazione riguardo all’attenzione che diamo ai temi della discriminazione di genere e dei diritti LGBTQ+. Se da una parte siamo attenti a usare un linguaggio che non discrimini le donne e le ricercatrici, non abbiamo mai parlato esplicitamente delle difficoltà che le persone della comunità LGBTQ+ incontrano in ambito accademico e in particolare nelle discipline dell’area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Lo facciamo oggi intervistando Alfredo Carpineti, astrofisico, giornalista scientificopodcaster e fondatore dell’associazione britannica Pride In STEM.

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La fisica delle reti finanziarie: intervista a Guido Caldarelli

[pubblicato su Scienza in rete il 2 luglio 2021]

Al cuore della crisi finanziaria del 2007-2008, culminata con la dichiarazione di bancarotta della banca di investimenti Lehman Brothers e dal salvataggio di stato di numerosi altri istituti statunitensi, c’è la fitta trama di connessioni tra gli attori del sistema finanziario costruita intorno al mercato immobiliare americano e, in particolare, alla concessione di mutui sulla casa e alla compravendita di assicurazioni su questi mutui. In particolare, furono cruciali i Credit Default Swap (CDS), derivati finanziari che coinvolgono tre soggetti: il primo dei quali compra un’assicurazione dal secondo per proteggersi dall’eventuale fallimento del terzo, e dunque dal rischio che sia incapace di assolvere alle obbligazioni che ha nei suoi confronti. La bolla dei prezzi del mercato immobiliare, la disinvoltura nella concessione dei mutui e la scarsa regolamentazione dei derivati vengono riconosciuti come le principali cause della crisi che si è propagata a livello globale e ha innescato la crisi del debito sovrano europeo che si è verificata di lì a qualche anno.

Dopo quella crisi, nel 2010, vennero modificati gli accordi di Basilea che regolano il sistema bancario a livello internazionale, per introdurre dei requisiti di capitale aggiuntivo per gli istituti con un ruolo particolarmente rilevante all’interno della rete interbancaria. Venne, in altre parole, riconosciuta la necessità di guardare alle proprietà della rete e non solo a quelle dei singoli soggetti per capire quanto ciascuno di essi concorresse alla stabilità collettiva e come le perdite dei singoli si propagassero lungo la rete tramite rapporti espliciti o impliciti (valutare cioè il livello di “rischio sistemico” della rete).

Questo cambio di mentalità evidenzia l’importanza che riveste la descrizione del sistema finanziario attraverso gli strumenti matematici della teoria delle reti e in particolare l’approccio della fisica statistica. In una rassegna pubblicata poche settimane fa dalla rivista Nature Physics un gruppo di fisici statistici italiani ripercorre i risultati ottenuti finora in questo campo di ricerca e traccia le prospettive future. Abbiamo intervistato Guido Caldarelli, fisico teorico, professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia e coordinatore dello studio.

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Machine learning in radioterapia: il problema è conquistare la fiducia degli oncologi

[pubblicato su Scienza in rete il 25 giugno 2021]

In ambito medico, sono ormai numerosi gli algoritmi di machine learning, sistemi di apprendimento automatico basato sui dati, sviluppati sia per la diagnosi che per il trattamento di diverse patologie. Finora però la loro efficacia è stata valutata prevalentemente fuori dall’ambiente clinico. Per questo è particolarmente significativo il lavoro di un gruppo di fisici medici, oncologi radioterapisti ed esperti di intelligenza artificiale della University Health Network di Toronto, Canada, che ha meritato la copertina dell’ultimo numero di Nature Medicine.

I ricercatori hanno testato un approccio per integrare piani di trattamento radioterapici per la cura del tumore alla prostata generati da un algoritmo di machine learning nelle normali procedure decisionali del Princess Margaret Cancer Centre, il maggiore centro oncologico canadese. L’algoritmo parte dalle immagini raccolte dalla TAC di un nuovo paziente e le confronta con un database di 99 pazienti e con i relativi piani di radioterapia per elaborare il nuovo piano di trattamento.I risultati dell’esperimento mostrano che questa tecnologia è pronta per essere utilizzata nella pratica clinica a patto di mantenere tutti i passaggi e i controlli di qualità che già vengono eseguiti sui piani elaborati dagli esperti umani per favorire la fiducia verso questi strumenti e garantire le migliori cure possibili ai pazienti.

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Caldo: più di un terzo dei decessi sono causati dalle attività umane

[pubblicato su Scienza in rete l’11 giugno 2021]

Quasi diecimila morti avvenute durante le stagioni calde tra il 1991 e il 2018 in circa 700 località distribuite in 43 paesi del mondo sarebbero attribuibili all’aumento delle temperature medie causato dall’attività umana, circa lo 0,6% del 1 670 000 decessi registrati in totale e quasi il 40% dei circa 26 000 associati al caldo.

C’è tuttavia una grande variabilità geografica, con le zone settentrionali di solito meno colpite da questo fenomeno rispetto a quelle meridionali. Nelle zone settentrionali di America, Europa e Asia, le morti attribuibili all’aumento delle temperature di origine antropica sono inferiori all’1% del totale registrato nelle stagioni calde, nelle regioni meridionali di Europa e Asia e in alcuni paesi del sudest asiatico e dell’Asia occidentale questa percentuale è ben al di sopra dell’1%, raggiungendo picchi del 2,7% in Paraguay e del 2,3% in Italia. È importante osservare che queste stime sono caratterizzate da un ampio margine di incertezza (l’intervallo di confidenza al 95% associato ai diecimila morti attribuibili al riscaldamento di origine antropica è 4 000 – 20 000).

Sono questi alcuni dei risultati di uno studio pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Nature Climate Change che rende conto di una sofisticata analisi statistica sui database giornalieri di mortalità e temperatura raccolti dal Multi-Country Multi-City (MCC) Collaborative Research Network, il più grande consorzio sul rapporto tra clima e salute. Si tratta del primo studio nel suo genere. Finora, infatti, gli scienziati si erano concentrati soprattutto sull’impatto potenziale che l’aumento delle temperature causato dal cambiamento climatico avrebbe avuto nel futuro in termini di mortalità, considerando diversi scenari. Molti studi avevano poi riguardato le morti causate dagli eventi di calore estremo, le cosiddette ondate di calore, periodi brevi in cui le temperature salgono in maniera anomala rispetto alla media stagionale.

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Optical system solves computational riddle

[pubblicato su Nature Italy l’8 giugno 2021]

Lasers and mirrors beat digital computers at simulating elusive magnetic objects called spin glasses.

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L’immagine è tratta da Pickup Image.

Il ruolo del sistema finanziario nella transizione ecologica

[pubblicato su Scienza in rete il 30 maggio 2021]

Il settore finanziario può favorire od ostacolare la transizione ecologica a seconda di come reagirà alle politiche di riduzione delle emissioni messe in atto dai governi. Tuttavia, il suo ruolo non viene ancora preso in considerazione nel tracciare i percorsi necessari a rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi per limitare l’aumento della temperatura globale.

In un articolo pubblicato sull’utlimo numero di Science, un gruppo di economisti ha proposto un approccio per combinare un modello di rischio climatico finanziario con gli Integrated Assessment Model (IAM), i modelli usati da organizzazioni come l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) o dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) per delineare i possibili scenari di transizione e informare le decisioni politiche. Proprio la scorsa settimana IEA ha pubblicato il rapporto Net zero by 2050, di cui abbiamo parlato qui, che descrive gli interventi necessari nel settore energetico per azzerare le emissioni nette a livello globale nel 2050.

«La sottostima dei rischi, intenzionale o meno, da parte degli attori dell’ecosistema finanziario, può ostacolare la transizione. Questo è un fatto cruciale di cui i decisori politici devono tener conto, soprattutto le banche centrali e le istituzioni con un mandato di stabilità finanziaria», commenta Stefano Battiston, professore all’Università Ca Foscari di Venezia e all’Università di Zurigo e uno degli autori dell’articolo. «La comunità della ricerca, in particolare quella interdisciplinare, offre strumenti concreti, cioè delle metriche per monitorare se la banche e i fondi si adeguano alla transizione o restano indietro», aggiunge.

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Trasformare drasticamente il settore energetico per azzerare le emissioni nel 2050

[pubblicato su Scienza in rete il 22 maggio 2021, con Jacopo Mengarelli]

Nel 2050 due terzi dell’energia globale e quasi il 90% di quella elettrica dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili. Tra queste, solare ed eolico dovranno avere un ruolo centrale, generando il 70% dell’energia elettrica. Per farlo la capacità del solare fotovoltaico dovrà aumentare di 20 volte nei trent’anni che abbiamo davanti e quella dell’eolico di 11 volte. Fatta eccezione per i progetti già approvati nel 2021, non è previsto lo sfruttamento di nuovi giacimenti di petrolio o gas né la costruzione di nuove centrali di energia a carbone senza sistemi di abbattimento delle emissioni. I combustibili fossili, da cui oggi viene prodotto l’80% dell’energia globale, nel 2050 sarebbero responsabili solo per il 20%.

Questi i punti centrali del percorso che, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (International Energy Agency, IEA), i governi del mondo dovrebbero seguire per portare a zero le emissioni nette di biossido di carbonio nel 2050. Si tratta di un traguardo compatibile con l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi, ovvero contenere entro 1,5 °C l’aumento della temperatura globale osservato a fine secolo rispetto ai livelli preindustriali.

Il rapporto di 224 pagine Net Zero by 2050 – A Roadmap for the Global Energy Sector, pubblicato martedì da IEA, è stato redatto in vista della ventiseiesima Conferenza delle parti (COP26) che si terrà nel Regno Unito a novembre e delinea «una trasformazione totale dei sistemi energetici che sostengono le nostre economie», commenta nella prefazione Faith Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia. Il settore dell’energia è responsabile infatti di quasi tre quarti delle emissioni globali di anidride carbonica.

Solo oltre 400 i momenti importanti nel percorso che conduce all’azzeramento delle emissioni nette nel 2050. Qui sotto vengono rappresentati i più significativi.

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L’immagine in copertina è di Pixabay.

La pandemia ispiri nuovi standard di ventilazione degli edifici

[pubblicato su Scienza in rete il 14 maggio 2021]

Trattare la qualità dell’aria negli ambienti interni con lo stesso rigore con cui si garantiscono acqua pulita e alimenti sicuri. Questo il cambio di paradigma invocato da un gruppo di 39 scienziati in un articolo pubblicato oggi sulla rivista Science.

Nel nuovo paradigma, l’attenzione verso i patogeni trasmessi per via aerea deve essere centrale. Infatti, se finora la qualità dell’aria in ambienti interni è stata controllata solo per limitare i rischi derivanti dall’esposizione a composti chimici nocivi e garantire comfort termico e olfattivo, poco o nulla è stato fatto per limitare la trasmissione di microorganismi attraverso l’aerosol impiegando opportuni sistemi di ventilazione.

«Non esistono norme o linee guida per la ventilazione degli ambienti interni che tengano conto di questi rischi, fatta eccezione per le strutture sanitarie», commenta Giorgio Buonanno, professore ordinario all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e uno dei firmatari dell’articolo su Science.

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Cosa non ha funzionato con il vaccino AstraZeneca

[pubblicato su Domani il 10 maggio 2021]

  • Cts e Aifa stanno riflettendo sulla possibilità di abbassare il limite di età sopra cui è raccomandato il vaccino AstraZeneca, ora 60 anni. La Germania lo ha fatto venerdì, mentre il Regno Unito lo ha alzato da 30 a 40 anni.
  • Oltre ad allargare la platea di cittadini che possono ricevere il vaccino, sarà però fondamentale considerare la diffidenza maturata dopo le segnalazioni di un raro ma grave effetto collaterale, casi di trombosi associate a carenza di piastrine, che sta già spingendo le persone a evitate Vaxzevria.
  • Un bilancio tra benefici e danni del vaccino è fondamentale per le agenzie regolatorie, ma è altrettanto importante condividere questo bilancio con i cittadini. Una nuova analisi condotta dal Winston Centre for Risk and Evidence Communication dell’Università di Cambridge su dati italiani ha concluso che con l’attuale livello di incidenza il bilancio è in favore del vaccino sopra i 30 anni.
Elaborazione Winton Centre for Evidence and Risk Communication su dati ISS e EMA, dettagli disponibili qui. Elaborazione grafica: Chiara Sabelli.

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L’immagine è di Gencat / Flickr.

Parent forums a more conducive channel for vaccine education

[pubblicato il 28 aprile 2021 su Nature Italy]

Findings from a study on more than a million posts on a parenting forum could help campaigns to improve vaccination rates in children

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L’immagine è tratta da Pixnio.

Regolare l’intelligenza artificiale: la proposta della Commissione Europea

[pubblicato su Scienza in rete il 25 aprile 2021]

Mercoledì la Commissione Europea ha presentato un quadro giuridico per regolare l’uso dell’intelligenza artificiale nell’Unione. Si tratta di una proposta che verrà valutata dal Consiglio d’Europa e dal Parlamento nei prossimi due anni e diventerà Regolamento non prima del 2023. Da quel momento, ciascuno degli stati membri dovrà adeguare le proprie leggi nazionali per rispettarne i contenuti.

L’approccio della Commissione è quello di regolare i sistemi di IA sulla base del contesto e dello scopo con cui vengono utilizzati. A questo scopo vengono definiti tre livelli di rischio, basso, medio e alto, e una quarta categoria definita di “rischio inaccettabile”, che contiene le applicazioni vietate. Tra queste ci sono i sistemi di social scoring, quegli algoritmi che raccolgono i dati digitali dei cittadini (per esempio i loro acquisti online) e li usano per calcolare un punteggio di affidabilità che può influenzare l’accesso all’istruzione o a strumenti di sostegno al reddito. In Cina esistono delle sperimentazioni in questo senso. Le altre due applicazioni che diventerebbero illegali se la proposta venisse accettata così com’è, sono quelle che manipolano i comportamenti delle persone sfruttando le loro vulnerabilità, soprattutto in campo politico, e l’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale in luoghi pubblici da parte delle forze dell’ordine.

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New sensor could make cancer treatment more precise

[pubblicato su Nature Italy il 23 aprile 2021]

Scientists have designed an organic and flexible device that can fit in a patient’s body and measure the radiation delivered by hadron therapy.

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Nell’immagine il sistema di protonterapia Mevions S250 a Saint Louis in Missouri. Credit: Romina Cialdella/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.

I modelli di linguaggio non devono limitarsi ad apprendere dai dati

[pubblicato su Scienza in rete il 17 aprile 2021]

La scorsa settimana, Samy Bengio, direttore del progetto Google Brain, ha annunciato le sue dimissioni. A fine aprile lascerà la società dopo 14 anni. La decisione di Bengio arriva dopo mesi turbolenti per Google, segnati dal licenziamento di Timnit Gebru e Margareth Mitchell, le due ricercatrici a capo del gruppo Ethical AI di Google, a causa di un articolo critico verso i modelli statistici di linguaggio basati su grandi quantità di dati e di parametri. Si tratta di sistemi già utilizzati in diverse tecnologie, come i motori di ricerca, gli assistenti vocali o i chat bot. L’articolo, scritto insieme Emily Bender e Angelina McMillan-Major, linguiste computazionali della University of Washington, è stato presentato un mese fa durante la conferenza Fairness Accountability and Transparency.

Abbiamo parlato con Dirk Hovy, professore associato all’Università Bocconi dove si occupa di linguistica computazionale con particolare attenzione verso gli impatti sociali dell’impiego dei cosiddetti large language modelDa settembre dello scorso anno Hovy è coordinatore del progetto INTEGRATOR, finanziato con uno Starting Grant dello European Research Council, e che ha l’obiettivo di integrare fattori demografici nei modelli di linguaggio naturale per mitigare il rischio che i contenuti generati siano discriminatori verso minoranze etnichedonne e persone con identità di genere non binaria, persone anziane e in generale gruppi sociali minoritari.

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Coded bias: sull’importanza dell’inclusività quando si progettano e impiegano gli algoritmi

[pubblicato su Scienza in rete il 10 aprile 2021]

“The more humans share with me, the more I learn”. Una voce metallica pronuncia questa frase all’inizio del documentario Coded Bias, diretto dalla regista Shalini Kantayya e disponibile su Netflix dal 5 aprile. Queste parole riassumono il messaggio centrale del documentario: gli algoritmi sono distorti soprattutto perché “apprendono” dagli esseri umani. Questo è particolarmente vero per i sistemi di machine learning, quelli che sottintendono al funzionamento dei motori di ricerca, dei social media, degli assistenti vocali e di molti altri strumenti tecnologici che usiamo quotidianamente.

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Cosa sappiamo davvero sui possibili pericoli di AstraZeneca? Poco

[pubblicato su Domani il 6 aprile 2021]

L’Ema sta continuando l’analisi sui rari tipi di trombosi riscontrati in persone che nelle settimane precedenti si sono vaccinate. Nonostante le indiscrezioni sui giornali italiani, l’indagine è ancora in corso. I casi sono così pochi che non è facile capire se c’è una connessione. Dalla Germania un’ipotesi di spiegazione sul potenziale effetto collaterale

  • È atteso in questi giorni il parere Ema sui casi di alcuni rari tipi di trombosi che si sono presentati in alcune decine di persone in Europa nei 16 giorni successivi alla somministrazione del vaccino contro Covid-19 prodotto da AstraZeneca.
  • Ema ne sta analizzando 62 su 9,2 milioni di dosi somministrate. Si tratterebbe quindi di un fenomeno raro.
  • Questi eventi avversi si sono verificati in donne sotto i 60 anni di età in cui il rischio di un decorso grave o fatale dell’infezione da Covid-19 è basso. Le persone che ne hanno sofferto avevano un numero di piastrine ridotto rispetto al normale.

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L’immagine è di Gencat / Flickr.

E se l’immunità di gregge non arrivasse mai? Molti indizi indicano che il Covid resterà tra noi

[pubblicato su Domani il 5 aprile 2021]

La “fine” della pandemia forse non arriverà mai, ma i vaccini rappresentano senz’altro la nostra possibilità di convivere meglio possibile col virus in questa fase di transizione. E poi il tracciamento dei focolai ci permetterà di evitare nuove ondate di contagi

  • La soglia dell’immunità di gregge dipende in primo luogo dal numero di riproduzione del virus, R0. Per il SARS-CoV-2, le prime stime di R0 erano intorno a 3 e la soglia dell’immunità intorno al 60-70 per cento.
  • Per raggiungere l’immunità di gregge dovremmo vaccinare tra il 60 per cento e l’80 per cento della popolazione con un vaccino efficace al 100 per cento nell’inibire la trasmissione del virus. Qui c’è il primo problema.
  • Ma i vaccini che abbiamo a disposizione sono altamente efficaci nell’evitare le infezioni sintomatiche, ma gli studi clinici non hanno stimato il loro effetto sulle infezioni asintomatiche e sulla contagiosità.

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L’immagine è di Asia Development Banck / Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.

Abbiamo ancora bisogno di app per tracciare i contagi

[pubblicato su Domani il 28 marzo 2021]

Immuni è scomparsa dall’agenda comunicativa delle istituzioni, eppure il contributo del tracciamento digitale dei contatti al contenimento dell’epidemia è stato dimostrato sia in teoria che in pratica

  • Il ruolo del tracciamento digitale dei contatti nella diffusione del Covid-19 è stato sottolineato fin dai primi mesi della pandemia. Chi si infetta è in grado di trasmettere l’infezione molti giorni prima di sviluppare i sintomi e questo rende estremamente importante la tempestività della notifica.
  • Il tracciamento manuale soffre di ritardi che si accentuano quando l’incidenza cresce, mentre il tracciamento digitale può, se bene integrato, allertare istantaneamente i contatti a rischio. Sono ormai numerosi gli studi che mostrano che può avere un ruolo importante nel contenere il contagio.
  • Tuttavia «la app si inserisce in un ecosistema che ha componenti critiche non digitali, e la sua efficacia dipende da tutto l’ecosistema e dalla fiducia dei cittadini», commenta Ciro Cattuto, professore all’Università di Torino.

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L’immagine è di Viarami / Pixabay.

COVID-19 apps are effective even with 20% uptake

[pubblicato su Nature Italy il 25 marzo 2021]

A simulation shows that digital contact tracing can reduce infections and help ease restrictions when used by at least one fifth of the population.

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L’immagine è di Viarami / Pixabay.

L’Europa propone un certificato verde digitale per vaccinati, guariti e negativi

[pubblicato su Scienza in rete il 21 marzo 2021]

Cercai invano un posto da contabile. Nel mese di giugno le attività commerciali si fermavano in quella regione. Tutti quelli che potevano permetterselo, lasciavano quel cimitero di febbre gialla. Assumere un giovane non acclimatato sarebbe stata una pessima decisione: o sarebbe morto oppure, molto probabilmente, lo avrebbe colpito una malattia devastante.

Così scriveva l’immigrato tedesco Gustav Dresel nel diario “Houston Journal: Adventures in North America and Texas, 1837-1841” riguardo ai suoi vani tentativi di trovare lavoro a New Orleans alla fine degli anni ’30 dell’Ottocento senza essere “acclimatato”, cioè senza essere sopravvissuto alla febbre gialla. Essere o meno acclimatati in quel periodo voleva dire trovare o non trovare lavoro, sposarsi o no e, per gli schiavi, valere di più o di meno. Come ha scritto la storica di Stanford Kathryn Olivarius quasi un anno fa sul New York Times, la richiesta di immunità alla febbre gialla non creò le disuguaglianze nella New Orleans di quel periodo, ma di certo le esasperò, spingendo addirittura alcuni a cercare di ammalarsi affollando abitazioni anguste, o saltando nel letto dove qualcuno era appena morto per via dell’infezione.

Le parole di Olivarius, sollecitate dal dibattito nato all’inizio della pandemia di COVID-19 riguardo la possibilità di istituire dei passaporti di immunità, ritornano interessanti in questi giorni.

Mercoledì la Commissione Europea ha proposto l’istituzione di un “certificato verde digitale” che permetta di spostarsi tra gli stati membri dell’Unione senza rispettare la quarantena all’arrivo. Il certificato potrà essere ottenuto dimostrando di cadere in uno tra questi tre casi: aver contratto il virus non più di sei mesi prima ed essere guariti, essere stati vaccinati oppure aver ottenuto un risultato negativo sottoponendosi a un test diagnostico (RT-PCR o antigenico rapido).

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Non per forza l’intelligenza artificiale deve promuovere le discriminazioni

[pubblicato su Domani il 20 marzo 2021]

Gli algoritmi sono sempre più diffusi in ambito medico e sanitario, ma il loro utilizzo rischia di replicare su vasta scala le disuguaglianze strutturali della nostra società. Raccogliere dati più rappresentativi delle minoranze e condurre analisi approfondite di questi sistemi è fondamentale e può renderli strumenti per mitigare la discriminazione

  • «I dati sono uno strumento per costruire il potere politico delle persone nere, e con potere politico intendo la capacità di influenzare le decisioni che hanno un impatto sulla propria vita». Queste le parole di Yeshimabeit Milner, fondatrice del gruppo Data For Black Lives, alla conferenza Fairness Accountability and Transparency.
  • «Algoritmi progettati male possono creare discriminazione ma se ben costruiti essi possono porre rimedio ai pregiudizi che hanno gli esseri umani», ha dichiarato Sendhil Mullainathan della Booth School of Business di Chicago.
  • Gli algoritmi di machine learning basano il loro funzionamento sui dati su cui vengono allenati e da cui apprendono. Per questo costruire campioni di dati che siano più rappresentativi delle minoranze è fondamentale per assicurarsi che questi algoritmi non replichino su vasta scala le disuguaglianze strutturali della società.

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L’immagine è di Ars Electronica / Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.

Pappagalli stocastici e il potere delle big tech

[pubblicato su Scienza in rete il 12 marzo 2021]

Si è conclusa mercoledì la ACM Conference on Fairness, Accountability, and Transparency (FAccT), promossa dalla Association for Computing Machinery, durante la quale è stato presentato per la prima volta l’articolo “On the dangers of Stochastic Parrots”. L’articolo è all’origine del licenziamento delle ricercatrici Timnit Gebru prima e Margareth Mitchell poi da parte di Google, dove co-dirigevano il gruppo di etica e intelligenza artificiale.

I “pappagalli stocastici” cui si fa riferimento nel titolo, in inglese “stochastic parrots”, sono i cosiddetti large language models, i modelli statistici del linguaggio che si basano sull’apprendimento da grandi database di testi, presi prevalentemente da internet. Con questa espressione le autrici vogliono sottolineare che questi sistemi non hanno alcuna comprensione del significato delle parole o delle espressioni che generano, perché non sono costruiti per averlo, ma piuttosto individuano degli schemi verbali ricorrenti nei dati e li “ripetono”.

La notizia del licenziamento di Gebru il 3 dicembre ha avuto grande risalto nei media di tutto il mondo. Gebru infatti è una delle esponenti di maggior rilievo nel campo dell’etica dell’intelligenza artificiale, soprattutto riguardo ai diritti di inclusione delle minoranze e dei loro punti di vista nelle grandi società tecnologiche e nei sistemi di intelligenza artificiale che queste sviluppano. Gebru ha ottenuto nel 2017 un dottorato presso lo Stanford Artificial Intelligence Laboratory. La sua tesi è culminata in una pubblicazione sui Proceedings of the National Academy of Sciences in cui viene mostrato come l’analisi automatizzata delle immagini delle auto parcheggiate fuori dalle abitazioni in diversi quartieri delle città americane, raccolte da Google Street View, permetta di fare inferenze sulla loro composizione demografica e orientamento politico. Successivamente ha lavorato nel gruppo Fairness Transparency Accountability and Ethics in AI di Microsoft Research, ha fondato il gruppo Black in AI, che si impegna a favorire l’ingresso di studenti e ricercatori neri nel campo dell’intelligenza artificiale, ha promosso iniziative di formazione nel campo del machine learning nelle scuole superiori e nelle università africane, in particolare in Etiopia, il suo paese di origine, partecipando ad Addis Coder. Nel 2018 Gebru ha collaborato con Joy Buolamwini, allora studente di dottorato all’MIT media lab, al progetto Gender Shades, che ha mostrato come i sistemi di riconoscimento facciale sviluppati dalle maggiori società tecnologiche fatichino molto a identificare i volti di donne nere, mentre non hanno problemi con gli uomini bianchi (il motivo è che gli archivi di immagini su cui vengono allenati contengono più volti di uomini bianchi che di donne nere). Il progetto è stato raccontato nel documentario Coded Bias, uscito negli Stati Uniti nel settembre del 2020.

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AstraZeneca agli over 65 e ritardo del richiamo Pfizer: le indicazioni da Regno Unito e Israele

[pubblicato su Domani l’8 marzo 2021]

Sulla base dei primi risultati della campagna vaccinale britannica, oggi il ministero della Salute raccomanda il vaccino AstraZeneca anche per gli over 65. Francia e Germania hanno preso la stessa decisione la scorsa settimana

  • Gli studi clinici sul vaccino di AstraZeneca hanno coinvolto un numero ridotto di persone sopra i 55 anni e questo ha spinto alcuni stati europei a limitarne l’utilizzo a quella soglia di età, contro il parere di EMA che lo ha autorizzato per tutti gli adulti.
  • I dati che arrivano da Inghilterra e Scozia, che stanno svolgendo studi osservazionali sulla popolazione per stimare l’efficacia sul campo dei vaccini, indicano alti livelli di efficacia anche nella popolazione anziana e anche verso le forme gravi della malattia.
  • La decisione del Regno Unito di ritardare il richiamo di Pfizer a 12 settimane, invece delle 3 settimane consigliate dalla casa farmaceutica, sembra essere confortata dai dati raccolti sul campo, ma è importante proseguire il follow-up.

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L’immagine è di Rwendland / Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0.

Biden ripristina il social cost of carbon

Venerdì scorso scorso la Casa Bianca ha annunciato di aver elaborato una nuova stima del cosiddetto “social cost of carbon” per il 2021, fissandolo a 51 dollari per ogni tonnellata di CO2 emessa in più  nell’anno in corso. Il parametro viene utilizzato negli Stati Uniti fin dall’inizio degli anni ’80 nella valutazione costi-benefici delle azioni politiche proposte, non solo in materia ambientale.

Il costo sociale dei gas a effetto serra cerca di quantificare in termini monetari tutti i costi e i benefici derivanti dell’emissione di una tonnellata aggiuntiva di CO2 o degli altri gas serra. Questo valore può essere utilizzato per confrontare i vantaggi che si otterrebbero contenendo l’aumento delle temperature rispetto ai costi che dovrebbero essere sostenuti per ridurre le emissioni. Un esempio è un governo che valuta costi e benefici derivanti dalla sostituzione dei sistemi di condizionamento dell’aria per aumentarne l’efficienza energetica e decide di conseguenza se finanziare questo tipo di intervento.

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Nella guerra fredda dei vaccini l’Europa si fa tentare da Sputnik

[pubblicato su Domani il 5 marzo 2021]

Dopo l’approvazione frettolosa in Russia ad agosto dello scorso anno e l’annuncio di accordi di fornitura con oltre 50 paesi, il vaccino russo contro COVID-19 Sputnik V sarà sottoposto alla procedura di revisione della European Medicines Agency, necessaria per richiedere l’autorizzazione a commercializzare il farmaco nel territorio dell’Unione Europea

  • L’attesa dell’avvio del percorso di revisione del vaccino russo contro il Covid-19 da parte dell’Ema è cresciuta nelle ultime settimane.
  • Soprattutto da quando il 2 febbraio la prestigiosa rivista medica The Lancet ha pubblicato i primi risultati dello studio clinico di fase 3 che indicano un’efficacia del 91,6% nell’evitare infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2.
  • Tuttavia, se i dubbi sulla sicurezza e l’efficacia dello Sputnik V sembrano risolti, resta da capire se l’industria farmaceutica russa sarà in grado di produrlo in quantità sufficienti e se il Cremlino sarà capace di vincere la diffidenza dei suoi cittadini che sono per ora restii a ricevere il vaccino.

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Nell’immagine l’arrivo del primo lotto di Sputnik V in Argentina alla fine del 2020. Credit: Casa Rosada / Wikimedia Commons. Licenza: CC BY 2.5 AR.

La ricerca su COVID-19 ha bisogno di dati condivisi

[pubblicato su Scienza in rete il 26 febbraio 2021]

Lunedì è stato pubblicato uno studio che mostra il livello di efficacia dei vaccini Pfizer/BioNTech e Oxford/AstraZeneca dopo la prima dose partendo dai dati della campagna vaccinale in Scozia. I risultati dello studio, che non è ancora stato sottoposto a peer review, sono confortanti: già dopo la prima dose l’efficacia di questi vaccini nell’evitare forme gravi di COVID-19 che necessitino di ospedalizzazione, è molto alta. Dopo quattro settimane dalla prima dose l’efficacia nell’evitare il ricovero a causa della COVID-19 è stata stimata al 76-91% per Pfizer/BioNTech e 73-99% per Oxford/AstraZeneca (qui il preprint).

L’annuncio è stato accolto con entusiasmo dalle istituzioni e dai ricercatori britannici. Questi risultati sembrano infatti confermare che la decisione di somministrare il vaccino Oxford/AstraZeneca a tutte le classi di età, senza fermarsi ai 65 anni come sta avvenendo in diversi paesi europei, sia state vincente.

Ma come sono stati ottenuti questi risultati? I ricercatori hanno messo insieme diversi database sanitari che coprono la quasi totalità della popolazione scozzese (5,4 milioni di persone): dati prodotti dai medici di base (940 studi medici), dati dello Electronic Communication of Surveillance in Scotland (ECOSS) che raccoglie i risultati degli esami diagnostici a cui sono stati sottoposti i cittadini, compresi quelli dei test RT-PCR per diagnosticare l’infezione da SARS-CoV-2, dati sui ricoveri in ospedale (database SMR e RAPID) e dati di mortalità (dal database National Records of Scotland). I dati hanno riguardato le persone vaccinate tra l’8 dicembre 2020 e il 15 febbraio 2021.

«I dati usati nello studio scozzese esistono in ciascuna regione italiana, ma dubito fortemente che da noi sarebbe stato possibile condurre in così poco tempo un’analisi del genere, anche a causa della peggiore organizzazione dei sistemi informativi», afferma Stefania Salmaso, epidemiologa che ha diretto fino al 2015 il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità. L’operazione che ha permesso lo studio scozzese si chiama in gergo record linkage, e consiste nel collegamento tra le informazioni individuali contenute in diversi database.

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Come gestire i pericoli della nuova “fase stagnante” dell’epidemia

[pubblicato su Domani il 20 febbraio 2021]

  • In Italia alcuni esperti hanno acceso il dibattito chiedendo di abbandonare il sistema di classificazione del rischio su base regionale e di imporre un nuovo lockdown nazionale.
  • Sulla rivista Physics Report è stato pubblicato un articolo che fa il punto su oltre 350 lavori scientifici dedicati all’analisi delle diverse misure di contenimento e del loro impatto sull’epidemia.
  • Le mascherine sono estremamente efficaci, l’effetto delle restrizioni dipende molto dalla fase dell’epidemia in cui vengono introdotte. Più la loro adozione è precoce, più saranno utili per contenere il contagio.

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L’immagine è di icsilviu da Pixabay.

Su Reddit non ci sono le echo chambers

[pubblicato su Scienza in rete il 19 febbraio 2021]

In queste settimane si discute animatamente del nuovo social media di successo, Clubhouse, una piattaforma che ospita stanze virtuali in cui avvengono conversazioni in solo formato audio. Al contrario di quanto accade su Twitter o Facebook, su Clubhouse non ci sono follower o amici, piuttosto le persone si incontrano sulla base dell’interesse verso un certo argomento. Alcuni osservatori hanno commentato che forse per questo motivo Clubhouse sfuggirà alla dinamica dell’eco che caratterizza i suoi fratelli maggiori.

Il fenomeno delle echo chambers è quello per cui gli utenti di un social media tendono a chiudersi in comunità con cui condividono la stessa visione del mondo e, come conseguenza, le interazioni tendono a rafforzare le loro idee di partenza.

Ma tra i social media più anziani Reddit potrebbe rappresentare un’eccezione. Fondato nel 2005 da Steve Huffman, Reddit condivide con Clubhouse la stessa struttura per argomenti o comunità, chiamate subreddit. In effetti un gruppo di ricercatori della Fondazione Istituto per l’Interscambio Scientifico (ISI) ha analizzato le conversazioni avvenute nel subreddit più grande dedicato alla politica, chiamato r/politics, durante il 2016, l’anno delle elezioni presidenziali statunitensi vinte da Donald Trump, e ha concluso che non ci sono echo chambers. I loro risultati sono stati pubblicati due settimane fa sulla rivista Scientific Reports.

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Dati ancora segreti: così il governo ha bloccato la ricerca sul Covid e le varianti

[pubblicato su Domani del 18 febbraio 2021]

  • L’indagine rapida condotta dal Ministero della Salute insieme all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha rilevato che nel nostro paese la variante del virus emersa nel sudest dell’Inghilterra a settembre 2020 è responsabile del 17,8 per cento delle infezioni registrate nelle giornate del 4 e del 5 febbraio.
  • Questo risultato preoccupa particolarmente poiché la B.1.1.7 è tra il 40 per cento e il 70 per cento più contagiosa rispetto alle varianti storiche e dunque è destinata a far risalire la curva del contagio. Ma quanto velocemente?
  • È difficile rispondere a questa domanda: bisognerebbe che l’Iss rendesse pubblici i dati di prevalenza della variante a livello regionale, probabilmente gli unici significativi.
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L’immagine di copertina è tratta da Pandemic Influenza: The Inside Story. Nicholls H, PLoS Biology Vol. 4/2/2006. Credit: mattbuck / Wikipedia.

L’onda invisibile

[pubblicato su Scienza in rete il 12/02/2021]

“L’onda invisibile”. È questo il titolo di un articolo pubblicato una settimana fa sul giornale tedesco Süddeutsche Zeitung che riassume la situazione della Germania riguardo le varianti del SARS-CoV-2 secondo gli scenari delineati in una ricerca del Robert Koch Institute.

Proprio per proteggersi da questa onda invisibile, due giorni fa la cancelliera Angela Merkel ha annunciato che il lockdown durerà almeno fino al 7 marzo, concedendo solo ai länder la possibilità, se lo ritengono opportuno, di cominciare a riaprire le scuole. Merkel si confronta con una sfida difficile: incoraggiare i suoi cittadini a continuare a rispettare le regole di distanziamento sociale nonostante i casi stiano diminuendo. La cancelliera ha spiegato che dopo il 7 marzo il parametro che guiderà il governo sarà l’incidenza: se l’incidenza scende sotto 35 casi ogni 100 000 abitanti e lì si mantiene per sette giorni consecutivi, allora i länder potranno decidere di riaprire gli esercizi commerciali sempre rispettando le regole di distanziamento (attualmente l’incidenza in Germania è intorno a 80 ogni 100 000 persone).

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La grande emergenza rimossa: la variante di Covid avanza ma noi non la cerchiamo

[pubblicato originariamente su Domani il 6 febbraio 2021]

  • A Corzano, un paese in provincia di Brescia di 1400 abitanti, sono state registrate 100 nuove infezioni al SARS-CoV-2 negli ultimi dieci giorni.
  • Il 27 gennaio il viceministro della salute Pierpaolo Sileri ha annunciato la nascita del Consorzio italiano per la genotipizzazione e fenotipizzazione di SARS-CoV-2
  • Anche la Francia si è trovata impreparata e sta elaborando un progetto nazionale di sorveglianza genomica in queste settimane. E intanto pensa a un nuovo lockdown.

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Nell’immagine di copertina: un vagone vuoto della metropolitana di Londra. Credit: mattbuck / Wikipedia . Licenza: CC BY-SA 2.0.

Gli effetti del ciclo mestruale svelati dai big data

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 5 febbraio 2021]

Se Homo sapiens ha trovato mille espedienti per proteggersi dal freddo, dalla fame, dalla malattia o dagli incerti della natura, se ha saputo esplorare e colonizzare tutte le terre, viaggiare nell’universo e inventare armi sofisticate per uccidere i suoi simili, è inevitabile constatare che le mestruazioni pertengono ancora all’irrazionale. Nonostante la sua banalità, il ciclo resta un fenomeno misterioso, circondato da leggende, superstizioni, reticenze e stereotipi la cui persistenza non può che stupire. Che provengano dalla mitologia, dalla religione o dalla medicina, continuano a permeare le mentalità tanto da ripercuotersi sulla salute e sul benessere delle donne in tutto il mondo.

Con queste parole la giornalista e scrittrice marsigliese Élise Thiébaut racconta nel libro “Questo è il mio sangue”, pubblicato da Einaudi nel 2018, l’ignoranza che esiste sul ciclo mestruale e come questa lasci spazio alle credenze, alla strumentalizzazione e allo stigma. Thiébaut sarebbe probabilmente molto contenta di sapere che questa settimana la prestigiosa rivista scientifica Nature Human Behaviour ha pubblicato un articolo che studia l’impatto del ciclo mestruale sull’umore, i comportamenti e alcuni parametri vitali, partendo da un grande database messo a disposizione dalla società BioWink GmbH che commercializza l’applicazione Clue per il tracciamento del ciclo mestruale. Colpisce infatti che un tema del genere finisca sulle pagine di una rivista non specializzata in salute femminile, ginecologia o psicologia. E, sinceramente, colpisce in senso positivo.

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Vaccinare tutti non è solo questione di filantropia

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 29 gennaio 2021]

A oggi in 65 Paesi del mondo sono state somministrate circa 82 480 000 dosi di vaccini contro COVID-19. A guidare la classifica è Israele, con 49 dosi inoculate ogni 100 abitanti. Seguono gli Emirati Arabi, con 27,4 dosi, e il Regno Unito con 11. I Paesi dell’Unione Europea sono un po’ più indietro (Spagna 2,7, Italia 2,5, Germania 2,4, e Francia 1,8) e in questi giorni si impegnano in una battaglia legale con la farmaceutica AstraZeneca che produce il vaccino messo a punto insieme all’Università di Oxford. AstraZeneca ha infatti annunciato che nel primo trimestre del 2021 consegnerà meno del 50% delle 100 milioni di dosi “promesse” all’UE che ha risposto minacciando di bloccare le esportazioni verso il Regno Unito dei vaccini prodotti negli stabilimenti di AstraZeneca presenti sul suo territorio.

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Non vaccinare tutto il mondo ci costerà più di 3mila miliardi

[pubblicato originariamente su Domani il 28 gennaio 2021]

  • Secondo le ultime stime, nel 2021 solo il 10 per cento degli abitanti dei paesi poveri sarà vaccinato, contro oltre il 50 di chi vive in quelli più ricchi.
  • È problema non solo di giustizia, ma anche economico: se più di metà del mondo rimarrà esposta al Covid-19 ci saranno conseguenze per tutti.
  • Secondo una stima, i danni economici potrebbero arrivare fino a 3mila miliardi di dollari, di cui il 40 per cento saranno pagati dai paesi ricchi.

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Nell’immagine di copertina: il 24 dicembre 2020 è arrivato in Argentina il primo lotto di vaccini Sputnik V, prodotto dal National Research Center for Epidemiology and Microbiology Gamaleya. Credit: Casa Rosada / Wikipedia. Licenza: CC BY 2.5 AR.

La sfida delle nuove varianti

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 22 gennaio 2021]

Una pandemia dentro la pandemia. Così Ewan Birney, direttore del prestigioso European Molecular Biology Laboratory, ha definito la diffusione della variante B.1.1.7 in una conversazione su Twitter. Dello stesso avviso è Adam Kucharski, epidemiologo alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, che in un articolo a sua firma sul Financial Times ha spiegato quali sono i pericoli legati all’emergere di questa variante del SARS-CoV-2 e delle altre che sono state rilevate nelle ultime settimane.

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Vaccini, il lungo cammino verso l’immunità

[pubblicato originariamente su Domani il 18 gennaio 2021]

  • C’è ancora molta incertezza ad ogni livello: nel Regno Unito, ad esempio, hanno cambiato la modalità di somministrazione del vaccino.
  • Quanti vaccini le aziende saranno in grado di produrre rimane ancora poco chiaro e contribuisce a spiegare le scelte britanniche.
  • E infine, bisogna tenere conto delle varianti del virus e di come si comporteranno le persone subito prima e subito dopo la campagna di vaccinazione.
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Nell’immagine di copertina: Angel Laureano mostra una fiala del vaccino COVID-19 presso il Walter Reed National Military Medical Center a Bethesda il 14 dicembre 2020. Foto di Lisa Ferdinando / Flickr. Licenza: CC BY 2.0.

Disparità di genere nelle università italiane: c’è ancora molto da fare

[pubblicato orginariamente su Scienza in rete il 15 gennaio 2021]

Il Consiglio Universitario Nazionale ha pubblicato il 17 dicembre scorso un rapporto che mette in evidenza la disparità esistente nell’università italiana tra uomini e donne, in particolare nei gradi più alti della carriera accademica. La situazione non sembra essere migliorata nei dieci anni tra il 2008 e il 2018 e il divario è particolarmente grave nelle discipline dell’area STEM (science, technology, engineering and mathematics), ma anche in medicina, giurisprudenza ed economia, dove si osserva una sostanziale parità nei ruoli iniziali (e precari) di carriera che non si conserva nelle posizioni più avanzate, quelle dei professori associati e ordinari.

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L’algoritmo di Deliveroo è discriminatorio secondo il tribunale di Bologna

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’8 gennaio 2021]

Il 30 dicembre il tribunale di Bologna ha emesso un’ordinanza, firmata dalla giudice Chiara Zompì, che definisce discriminatorio l’algoritmo utilizzato da Deliveroo, piattaforma di consegna del cibo a domicilio, per gestire le prenotazioni delle sessioni di lavoro da parte dei rider, condannando l’azienda a pagare 50 000 euro di risarcimento alle organizzazioni sindacali che hanno fatto ricorso oltre a sostenere le spese legali (il testo dell’ordinanza è consultabile qui).

«È probabilmente il primo caso in cui un algoritmo viene chiamato a comparire in tribunale e ritenuto illegittimo in Europa nel rapporto tra privato e privato», commenta Mario Guglielmetti, legale presso lo European Data Protection Supervisor (EDPS), l’autorità europea indipendente per la protezione dei dati personali. E aggiunge «esistono diversi precedenti riguardanti algoritmi utilizzati da soggetti pubblici, come ad esempio il sistema SiRy che stimava la probabilità dei cittadini olandesi di commettere frode ai danni dello Stato, sospeso a febbraio dalla corte distrettuale dell’Aia perché accusato di violare i diritti umani. Il pronunciamento del tribunale di Bologna è il primo in cui un sistema automatico viene considerato illegittimo nel rapporto tra due soggetti privati, come sono da considerarsi Deliveroo e i riders, che l’azienda inquadra come collaboratori autonomi»1.

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Italiani premiati per un algoritmo di cooperazione sociale

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 18 dicembre 2020]

Si è conclusa sabato scorso l’edizione 2020 della Neural Information Processing Systems Conference (NeurIPS), una delle più importanti conferenze nel campo dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Ogni anno alcuni fra gli articoli accettati per la presentazione alla conferenza ricevono dei riconoscimenti particolari e quest’anno tra i tre premiati c’è anche uno studio italiano. «Erano almeno quindici anni che un team italiano non otteneva questo riconoscimento, siamo molto soddisfatti», commenta Nicola Gatti, professore associato presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, e uno dei quattro autori dell’articolo. Non si tratta di un riconoscimento di poca importanza. Insieme al lavoro del Politecnico è stato premiato anche il generatore di linguaggio GPT-3 sviluppato dalla società di San Francisco OpenAI, di cui avevamo parlato qui, che spicca per essere uno degli algoritmi di machine learning con il più alto costo di calibrazione di sempre, circa 4,5 milioni di dollari.

Nicola Gatti e i suoi collaboratori, Andrea Celli (ora ricercatore postdoc nel Core Data Science team di Facebook), Alberto Marchesi (ricercatore postdoc al Politecnico di Milano) e Gabriele Farina (dottorando alla Carnegie Mellon University), hanno fatto un passo importante verso la soluzione di un problema introdotto nel 1974 dal premio Nobel per l’economia Robert Aumann nell’ambito della teoria dei giochi. Si tratta del lavoro in cui Aumann ha formulato il concetto di “equilibri correlati”, una forma generalizzata del concetto di equilibrio proposto da Nash nel 19501. Gli equilibri correlati si ottengono supponendo che esista un “mediatore” che consiglia i partecipanti individualmente e privatamente sulle strategie da adottare. Un equilibrio correlato si raggiunge quando nessun giocatore ha un incentivo a deviare rispetto al comportamento suggerito dal mediatore, sotto l’ipotesi che tutti gli altri seguano i suggerimenti del mediatore. Aumann ha mostrato che in alcuni casi gli equilibri correlati possono portare a un’analisi più raffinata dell’interazione sociale. In un certo senso la figura del mediatore garantisce, sotto opportune ipotesi, che i giocatori producano un esito socialmente virtuoso pur perseguendo i loro obiettivi personali. «Gli equilibri correlati hanno anche un’altra proprietà interessante: sono molto più semplici da calcolare rispetto a quelli di Nash», spiega Nicolò Cesa-Bianchi, professore ordinario di computer science all’Università Statale di Milano che non è coinvolto nello studio. Cesa-Bianchi è autore di uno dei libri di riferimento sugli algoritmi di apprendimento per la previsione delle sequenze, rilevanti nel campo della teoria dei giochi, degli investimenti finanziari o della compressione dei dati.

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La supremazia quantistica dimostrata con i fotoni

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’11 dicembre 2020]

«Sarà entusiasmante vedere per la prima volta una macchina quantistica superare la più potente macchina classica nella soluzione di un problema». Così parlava a giugno del 2016 Chao-Yang Lu, ricercatore alla University of Science and Technology of China (USTC) a Hefei in un’intervista su Nature. La prestigiosa rivista britannica aveva dedicato il numero di quella settimana all’ascesa della Cina in campo scientifico e Chao-Yang Lu figurava tra i dieci ricercatori più promettenti, con l’appellativo di “mago dei quanti”. Poco più di quattro anni dopo quell’intervista, la sua affermazione è diventata realtà. In un articolo pubblicato su Science la scorsa settimana Chao-Yang Lu, insieme al suo mentore Jian-Wei Pan, spesso chiamato “il padre dei quanti” dai media cinesi, e a un nutrito gruppo di collaboratori, ha dimostrato la cosiddetta “supremazia quantistica” (o “vantaggio quantistico”) con un apparato costituito da fotoni. La supremazia quantistica è sostanzialmente la caratteristica di un computer quantistico di svolgere un compito in maniera clamorosamente più veloce rispetto a un computer classico.

Il gruppo di Chao-Yang Lu ha mostrato con un sistema di laser, prismi, specchi e rilevatori di singoli fotoni, di saper campionare dalla distribuzione di probabilità associata a un sistema di 76 fotoni che interagiscono fra loro in circa 200 secondi (esperimento che spiegheremo più avanti nel testo). I ricercatori hanno stimato che, utilizzando il più potente supercomputer cinese TaihuLight per svolgere lo stesso compito, sarebbero necessari 2,5 miliardi di anni, un tempo centomila miliardi di volte più lungo (circa 4 ×1014 volte il tempo impiegato dal computer quantistico). Bisogna osservare che si tratta di una stima estrapolata dal tempo che è stato necessario per calcolare la distribuzione di probabilità associata a sistemi di 40 fotoni. Oltre quel limite non è possibile spingersi con nessun calcolatore classico.

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DeepMind calcola la struttura delle proteine con accuratezza sorprendente

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 4 dicembre 2020]

‘Questo cambierà tutto’‘L’intelligenza artificiale trionfa nel calcolo della struttura delle proteine’‘DeepMind ha risolto una sfida della biologia lunga 50 anni’‘La soluzione di un mistero della biologia’‘Uno dei più grandi misteri della biologia sostanzialmente risolto da un’intelligenza artificiale’. Con questi titoli i maggiori quotidiani del mondo hanno riportato la notizia che un sistema di intelligenza artificiale, sviluppato dalla società londinese DeepMind, è stata in grado di determinare la struttura tridimensionale di un centinaio di proteine con un’accuratezza mai raggiunta prima e paragonabile a quella delle tecniche sperimentali che finora hanno svelato la maggior parte delle strutture proteiche che conosciamo.

La notizia è arrivata dagli organizzatori della competizione CASP (Critical Assessment of techniques for protein Structure Prediction), che si tiene ogni due anni e che quest’anno è giunta alla sua quattordicesima edizione. Dal 1994 CASP organizza una sfida tra decine di gruppi di ricerca nel campo della biologia computazionale chiedendogli di prevedere la struttura tridimensionale di un campione di proteine e complessi proteici a partire dalla sequenza di amminoacidi che li costituiscono. Quest’anno AlphaFold2, questo il nome dell’intelligenza artificiale sviluppata da DeepMind, ha vinto di misura su tutti gli altri partecipanti.

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Chi dovrebbe avere priorità per il vaccino?

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 27 novembre 2020]

Lunedì sono stati resi pubblici i primi dati di efficacia del vaccino sviluppato dalla società AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford, il terzo ad aver completato il suo studio di fase 3. I primi due sono quelli prodotti da Pfizer con BioNTech e da Moderna, che hanno dichiarato nelle scorse settimane un’efficacia del 95% nell’evitare infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2. Pfizer e BioNTech hanno inviato all’FDA la documentazione per l’approvazione in condizioni di emergenza il 20 novembre scorso.

Secondo le informazioni rese pubbliche finora, l’efficacia del vaccino di AstraZeneca e Oxford è del 70% in media, ma tra coloro che hanno ricevuto, sembra per errore, nella prima somministrazione mezza dose e solo nella seconda un’intera dose, l’efficacia sembra salire al 90%. Questi risultati hanno suscitato perplessità tra gli scienziati e gli investitori. Pare infatti che il gruppo in cui è stata misurata un’efficacia del 90% sia molto ristretto rispetto a quello totale, circa 3 000 soggetti, e non contenga persone sopra i 55 anni. Ieri la società farmaceutica ha annunciato che ripeterà lo studio di fase 3 con il dosaggio apparentemente più efficace (mezza dose nella prima somministrazione e un’intera dose nella seconda) su un campione più grande e più rappresentativo, ma che questo non ritarderà il processo di approvazione da parte delle autorità farmaceutiche.

Ma l’incognita del dosaggio migliore per il vaccino di AstraZeneca e Oxford è solo una delle tante a cui ci troviamo difronte in questo momento. Per nessuno di questi tre vaccini sappiamo infatti come varia con l’età il grado di protezione conferita – per il vaccino antinfluenzale si osserva una  perdita di efficacia sopra 60 anni. Né sappiamo se ci proteggeranno anche dall’infezione, impedendoci di trasmettere il virus oltre a limitare l’insorgenza della malattia. Non sappiamo neanche quanto durerà l’immunità conferita, così come del resto non sappiamo quanto tempo sono immuni le persone che si sono infettate e sono poi guarite.

Insomma, abbiamo poche certezze. Ma siamo certi del fatto che i vaccini (questi primi tre come gli altri in fasi più iniziali di sperimentazione) sono la nostra migliore chance per sopprimere questa pandemia che da ormai nove mesi ci costringe a rispettare regole rigide di distanziamento e igiene, che sta sfibrando i nostri operatori sanitari, e che a oggi ha causato la morte di quasi 1 425 000 persone, più di 52 mila solo in Italia. È importante quindi non sprecare questa chance.

Sappiamo che all’inizio la disponibilità delle dosi di vaccino sarà limitata. In Italia, ad esempio, se il vaccino di Pfizer e BioNTech venisse approvato, a gennaio arriverebbero 3,5 milioni di dosi, sufficienti a vaccinare 1,7 milioni di persone (ciascuna con una prima iniezione e poi un richiamo a distanza di alcune settimane). Quindi la domanda è: chi vaccineremo per primo? Per rispondere, diversi gruppi di ricercatori nel mondo si sono imbarcati in un’impresa ardua: simulare lo sviluppo delle campagne vaccinali durante l’evolversi dell’epidemia da COVID-19 e capire qual è la strategia più efficace per ridurre il numero di decessi o di nuove infezioni. In ciò che segue ragioneremo sulla minimizzazione del numero di decessi.

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Automatizzare la scuola

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 20 novembre 2020]

La pandemia ha portato, a marzo, alla chiusura anticipata delle scuole in molti stati europei e non solo. Oltre 500 000 studenti italiani hanno sostenuto la maturità e il loro voto è stato calcolato per il 60% sulla base del percorso degli ultimi tre anni e per il 40% sulla base della sola prova orale (le prove scritte non si sono tenute). In tempi normali l’esame, con due prove scritte e una orale, serve ad assegnare 60 dei 100 punti in palio, mentre i voti ottenuti durante gli ultimi tre anni possono generare massimo 40 punti. Il risultato è stato un generale aumento dei voti. Se nel 2019 i diplomati con voto superiore a 80 erano il 32,8%, quest’anno sono stati il 49,6% del totale. Hanno preso 100, il voto massimo, il 9,9% dei maturandi contro il 5,6% del 2019.

In Gran Bretagna le cose sono andate diversamente. Gli esami finali degli studenti all’uscita dalle scuole superiori, chiamati A-level, non si sono tenuti e la loro valutazione è stata affidata a un algoritmo sulla base dei voti intermedi e della perfomance storica di ciascuna scuola. Il 40% degli studenti ha ricevuto voti più bassi rispetto a quelli proposti dai loro insegnanti e nel pomeriggio del 16 agosto le strade di Londra si sono riempite di ragazzi che agitavano cartelli con su scritto ‘fuck the algorithm’. C’è da sottolineare che il peso degli A-level nel sistema dell’istruzione britannico è molto più grande della nostra maturità. Sulla base di quei voti si decide infatti l’accesso all’università e, come conseguenza, al mondo del lavoro. L’algoritmo però non ha penalizzato ugualmente tutti gli studenti, come vedremo. Quelli appartenenti a contesti socioeconomici più svantaggiati hanno pagato il prezzo più salato.

Anche le università hanno trasferito lezioni ed esami online. E se la didattica a distanza ha funzionato meglio rispetto ai gradi inferiori di istruzione, i problemi si sono presentati nelle procedure di valutazione. Un grande numero di università, anche in Italia, ha cominciato a utilizzare sistemi di sorveglianza automatica durante gli esami. Le proteste degli studenti sono state numerose e hanno riguardato diversi temi, dall’eccessiva pressione psicologica a cui sono stati sottoposti, alla discriminazione verso studenti neri su cui i software di riconoscimento facciale funzionano ancora molto male, fino ai dubbi sul rispetto delle leggi sulla privacy. Diverse università hanno deciso di sospenderne l’utilizzo e di ricorrere a personale aggiuntivo per monitorare il comportamento degli studenti da remoto.

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Indicatori e governo dell’epidemia

Fase. Rischio. Scenario. Queste tre parole scandiscono la risposta e la preparazione che le istituzioni hanno progettato per contrastare l’epidemia di SARS-CoV-2 in Italia da febbraio a oggi.

Le tre parole sono introdotte e dettagliate in tre documenti istituzionali, che costituiscono la base di questo approfondimento, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile [1], il Decreto del Ministero della Salute del 30 aprile [2] e il documento “Prevenzione e risposta COVID-19” [3] pubblicato all’inizio di ottobre da Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità (ISS) insieme a un’altra serie di centri di ricerca e associazioni del settore sanitario.

I tre documenti definiscono una serie di indicatori (numerici e non) grazie ai quali si elabora una sintesi del quadro epidemiologico a livello locale e nazionale e si stabilisce in che fase siamo, qual è il livello di rischio delle singole regioni e infine in quale scenario queste si trovino. Il colore, giallo, arancione o rosso, delle regioni viene stabilito sulla base del livello di rischio e dello scenario, in una maniera non del tutto lineare come vedremo.

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Elezioni americane: l’accusa di frode e la crisi dei sondaggi

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 6 novembre 2020]

Nel momento in cui scriviamo il risultato delle elezioni presidenziali americane non è ancora definitivo: Biden ha 39 voti in più di Trump nel collegio elettorale, ma per vincere deve conquistarne ancora 17.

Il collegio viene costituito al solo scopo di scegliere il presidente e il suo vice e lo farà a dicembre per permettere l’insediamento alla Casa Bianca a gennaio. Ogni stato americano elegge un certo numero di membri del collegio elettorale, i cosiddetti grandi elettori, che vengono assegnati ai democratici o ai repubblicani a maggioranza sulla base del voto popolare (in tutti gli stati tranne tre, dove valgono regole diverse). In totale il collegio elettorale conta 538 posti e dunque viene dichiarato vincitore il candidato presidente che se ne aggiudica almeno 270. In California, dove si nominano 55 grandi elettori, sono stati scrutinati il 77% dei voti (oltre 12 milioni di schede) e di questi il 65,1% sono andati a Biden. Per questo tutti i 55 grandi elettori dello stato sono già considerati come assegnati al Partito Democratico. Attualmente Biden ha 253 grandi elettori già confermati e Trump 214, restano da assegnarne 71. Sono sei gli stati ancora in bilico: Pennsylvania (20), Georgia (16), North Carolina (15), Arizona (11), Nevada (6) e Alaska (3). In questi stati la distanza tra democratici e repubblicani è irrisoria (poco più di 18 000 voti in Pennsylvania, meno di 1 000 in Georgia, circa 67 000 in North Carolina) e dunque non è possibile stabilire a chi andranno i loro grandi elettori prima del termine dello spoglio (fonte: New York Times).

E mentre Biden chiede ai suoi sostenitori di avere pazienza di aspettare la vittoria ufficiale, Trump denuncia, senza averne alcuna prova, illegalità nel processo di voto. Nella sua ultima conferenza stampa alla Casa Bianca nel tardo pomeriggio di ieri a Washington, ha affermato: “Se si contano i voti legittimi vinco facilmente”, e ha ribadito che continuano i suoi sforzi per proteggere l’integrità di queste elezioni attraverso procedure legali intentate dagli avvocati della sua campagna negli stati chiave. Le maggiori emittenti televisive hanno interrotto il collegamento con la Casa Bianca comunicando ai propri spettatori che le accuse del presidente sono infondate.

FRODE ELETTORALE

Già nel discorso pronunciato a poche ore dalla chiusura dei seggi, nella notte tra martedì e mercoledì, Trump aveva messo in dubbio l’integrità del processo di voto, definendo le elezioni una frode e aveva assicurato che avrebbe fatto di tutto per vincere, appellandosi addirittura alla corte suprema.

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La consulenza scientifica al Parlamento: il caso del 5G

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 30 ottobre 2020]

Non potrebbe apparire più urgente che in questo momento storico la necessità di strutture e processi che garantiscano l’accesso dei politici alla conoscenza scientifica e tecnologica, soprattutto quando questa è in evoluzione e presenta aspetti su cui non c’è consenso unanime fra gli esperti.

Proprio di questa necessità abbiamo discusso (Chiara Sabelli e Luca Carra) durante il dibattito ‘5G in Parlamento. Il ruolo della conoscenza scientifica’, organizzato all’interno del Festival della Scienza di Genova, quest’anno dedicato al tema ‘Onde’.

Il caso della tecnologia 5G è particolarmente ricco di spunti e ci ha permesso di confrontare l’esperienza del Parlamento italiano con quella del Parlamento britannico, grazie alla testimonianza di Lorna Christie, consulente presso il Parliamentary Office for Science and Technology (POST), l’ufficio di consulenza scientifica al servizio del Parlamento britannico da oltre 30 anni, e autrice del documento pubblicato dal POST sul 5G. Il dibattito ha inoltre beneficiato del contributo di tre scienziati, Alessandro Armando dell’Università di Genova, Angela Benedetti dello European Center for Medium-Range Weather Forecasts e Alessandro Vittorio Polichetti dell’Istituto Superiore di Sanità, che ci hanno permesso di capire la complessità di alcuni rischi posti dallo sviluppo della nuova generazione di comunicazioni mobili e dunque di apprezzare la portata della sfida normativa e politica che i Parlamenti di tutto il mondo stanno affrontando. Continua a leggere La consulenza scientifica al Parlamento: il caso del 5G

Diagnosi automatizzate: dalla COVID-19 al tumore al seno

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 23 ottobre 2020]

Due settimane fa un gruppo di ricercatori cinesi ha pubblicato sulla rivista Nature Communications uno studio in cui mostra le performance di un sistema di intelligenza artificiale nel diagnosticare la COVID-19 a partire dalle immagini di tomografia computerizzata dei polmoni, distinguendola da altre tre patologie: le polmoniti causate dall’influenza stagionale, le polmoniti non virali e altri tipi di lesioni diverse dalle polmoniti. Si tratta solo dell’ultimo di una serie di sistemi di intelligenza artificiale messi a punto negli ultimi mesi per diagnosticare la COVID-19, che potrebbero diventare utili se i sistemi sanitari sottoposti a pressione esagerata non fossero più in grado di effettuare tempestivamente i test molecolari (quelli che cercano tracce dell’RNA virale nei campioni prelevati tramite tampone naso-faringeo). Questi sistemi di lettura automatizzata potrebbero poi essere modificati per funzionare anche su radiografie polmonari, un metodo diagnostico facilmente disponibile anche nei Paesi meno sviluppati.

Non solo. Potrebbero servire anche a individuare con un po’ di anticipo i pazienti che andranno incontro a un decorso più severo e che necessiteranno di essere intubati, permettendo così agli ospedali di gestire meglio le loro risorse. A fine settembre uno di questi sistemi, sviluppato dalla società Dascena di San Francisco, ha ottenuto l’approvazione per uso in caso di emergenza da parte della Food and Drug Administration, l’agenzia del farmaco statunitense.

I sistemi di intelligenza artificiale per la diagnosi e il triage dei casi di COVID-19 sono solo gli ultimi esempi di una serie di algoritmi di machine learning che hanno trovato numerose applicazioni nelle attività di diagnostica per immagini, a cominciare dalla diagnosi dei tumori. Analizzare immagini mammografiche o biopsie di diversi tipi di tessuto alla ricerca di formazioni cellulari anomale o veri e propri tumori si è dimostrato un compito particolarmente facile per questo tipo di algoritmi, che spesso hanno superato in bravura radiologi e patologi con anni di esperienza. Il caso più studiato è sicuramente quello del tumore al seno, ma sono stati ottenuti risultati importanti anche per i tumori del polmone e della pelle.

L’obiettivo è classificare l’immagine diagnostica in un numero finito di categorie. Nei casi semplici sarà sufficiente discriminare fra solo due gruppi, sano o malato, in quelli più complessi bisognerà considerare diversi tipi di anomalie, da quelle benigne a quelle più aggressive. Il successo dell’intelligenza artificiale è arrivato proprio con lo sviluppo di algoritmi particolarmente capaci in questa attività di classificazione delle immagini.

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La pandemia non basta, serve una vera transizione energetica

[originariamente pubblicato su Scienza in rete il 16 ottobre 2020]

Martedì l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha pubblicato il suo World Energy Outlook 2020, il rapporto annuale in cui riassume le previsioni a 20-30 anni per il settore dell’energia in diversi scenari politici ed economici, dedicando però un’attenzione particolare ai prossimi dieci anni e all’uscita dalla crisi causata dalla pandemia.

Ci sono molti aspetti inediti nel rapporto di quest’anno. Il primo è che manca lo scenario business as usual sostituito da quello denominato stated policies scenario (STEPS), in cui si assume che la pandemia termini nel 2021, l’economia ritorni ai livelli pre-crisi nello stesso anno, mentre la domanda di energia solo nel 2023 e si tengono in considerazione le politiche energetiche incluse negli interventi già pianificati dagli Stati per uscire dalla crisi.

Il secondo elemento di novità è che per la prima volta la IEA modellizza due scenari rilevanti per la lotta al cambiamento climatico. Il primo è lo scenario chiamato sustainable development scenario (SDS) in cui una serie di misure aggiuntive permettono di raggiungere il livello zero di emissioni nette di gas serra entro il 2070 e di contenere l’aumento della temperatura globale rispetto ai livelli preindustriali a 1,65°C con il 50% di probabilità. Il secondo è il net zero emissions by 2050 case (NZE2050), che individua una serie di interventi molto più incisivi nel settore dell’energia per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050 e avere il 50% di probabilità di contenere l’aumento della temperatura a 1,5°C, l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi.

L’ultimo aspetto inedito è il fatto che la IEA attribuisca un grande peso ai comportamenti individuali tra gli interventi nel settore energetico, considerando necessari cambiamenti radicali nei nostri stili di vita in particolare nello scenario NZE2050.

Oltre agli scenari che abbiamo già nominato, stated policiessustainable development e net zero emissions by 2050, la IEA ne considera un quarto, il delayed recovery scenario (DRS). In questo scenario la crisi dovuta alla pandemia si prolunga più al lungo del previsto, l’economia globale ritorna a livelli pre-crisi solo nel 2023 e la domanda di energia nel 2025, ma le politiche energetiche non cambiano rispetto a quanto dichiarato finora.

La crescita nella domanda di energia, che nel 2019 ci si aspettava sarebbe stata del 12% entro il 2030, si ferma al 9% nello scenario stated policies, con l’aumento dei Paesi emergenti a compensare il rallentamento dei Paesi ricchi. Tuttavia, questo non è sufficiente a garantire che il nostro pianeta si metta sulla traiettoria indicata dall’accordo di Parigi. “La recessione economica ha temporaneamente soppresso le emissioni, ma la bassa crescita economica non è una strategia a basse emissioni, è una strategia che servirebbe solo a impoverire ulteriormente le popolazioni più vulnerabili del mondo”, ha affermato Fatih Birol, direttore della IEA e ha aggiunto: “solo modifiche strutturali al modo in cui produciamo e consumiamo l’energia possono invertire stabilmente la crescita delle emissioni”.

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Supercomputer contro la pandemia

[originariamente pubblicato su Scienza in rete il 9 ottobre 2020]

Lunedì i CDC hanno aggiornato le linee guida sulla pandemia includendo gli aerosol tra i possibili veicoli di trasmissione del virus. Gli aerosol sono le particelle più piccole emesse dal naso e dalla bocca di una persona quando starnutisce, tossisce o parla, e hanno un diametro tra qualche decimo di micrometro fino a dieci micrometri. Queste particelle sono più leggere dei cosiddetti droplet, che hanno diametri superiori fino a qualche centinaio di micrometri, e dunque non sono attirati immediatamente a terra dalla forza di gravità ma possono rimanere in movimento nell’aria per lunghi periodi. La loro dinamica è particolarmente importante per valutare il rischio di contagio in ambienti chiusi, in cui il ricambio dell’aria è limitato.

L’aggiornamento delle linee guida dei CDC arriva tre giorni dopo la notizia che Donald Trump è risultato positivo al SARS-CoV-2 e a quattro giorni dal primo confronto tra Trump e Biden in vista delle elezioni presidenziali del 3 novembre prossimo. Biden e Trump si sono scontrati in un dibattito trasmesso in diretta televisiva durato oltre un’ora e mezza in cui hanno parlato da podi distanziati di circa due metri. L’allestimento del dibattito televisivo ha spinto molti a chiedersi se Biden è stato esposto a un rischio di contagio concreto.

Tra i modi per capire come droplet e aerosol circolano nell’aria ci sono i modelli computazionali. Già ad aprile un gruppo di scienziati del Kyoto Institute of Technology aveva mostrato che la distanza di sicurezza dovrebbe essere maggiore di 1 metro (meglio 2 metri) per evitare di essere investiti dagli aerosol. Sempre la simulazione della dispersione di queste particelle nell’aria, aveva permesso al supercomputer giapponese Fugaku di concludere che le visiere sono sostanzialmente inutili a contenere la diffusione dei droplet (un risultato confermato di recente anche da un altro studio con un approccio diverso, ovvero la visualizzazione in laboratorio tramite laser del movimento di queste goccioline nell’aria dopo uno starnuto). A fine agosto, sempre Fugaku aveva stabilito che le mascherine in polipropilene sono più efficaci di quelle in tessuto.

Il supercomputer Fugaku è ospitato dal RIKEN Center for Computational Science a Kobe ed è stato sviluppato in collaborazione con Fujitsu. È oggi il computer più potente al mondo, capace di eseguire 415,5 milioni di miliardi di operazioni al secondo (si dice che la sua potenza di calcolo è di 415,5 petaflops), quasi trenta volte più veloce del secondo più potente supercomputer del mondo, il Summit di IBM. Per avere un’idea di cosa vogliano dire questi numeri, basti pensare che un processore presente in un personal computer può arrivare a qualche centinaio di gigaflops, ovvero un milione di volte meno potente di un supercomputer. L’inizio delle attività di Fugaku era previsto per il 2021, ma ad aprile di quest’anno il centro ha annunciato che avrebbe messo a disposizione parte della sua capacità computazionale per progetti di ricerca su SARS-CoV-2 e COVID-19. Sempre lunedì NVIDIA ha annunciato che sta costruendo nel Regno Unito il più potente supercomputer del mondo che aiuterà i ricercatori ad affrontare domande difficili in campo medico, in particolare riguardo COVID-19. Insomma, le piattaforme di high performance computing sono considerate uno strumento cruciale per contrastare con la ricerca scientifica l’avanzata di questa nuova malattia. I loro impieghi sono infatti molteplici. Continua a leggere Supercomputer contro la pandemia

A che punto siamo con il 5G?

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 5 ottobre 2020]

Mercoledì il segretario di stato americano Mike Pompeo è arrivato a Roma e ha incontrato il primo ministro Giuseppe Conte e il ministro degli esteri Luigi Di Maio. Al centro dei due colloqui la posizione italiana sull’impiego di componenti elettroniche del colosso cinese Huawei nella costruzione della rete di telecomunicazioni mobile di ultima generazione. Conte e Di Maio hanno rassicurato Pompeo: l’Italia si allineerà all’Unione Europea, mettendo al centro delle sue scelte la sicurezza nazionale e comunitaria.

A luglio la Commissione Europea aveva richiamato gli Stati membri a diversificare i fornitori della filiera 5G, pochi giorni dopo l’annuncio del governo inglese che ha imposto il divieto di utilizzo della tecnologia Huawei nella parte core della rete e un limite del 35% sul suo impiego nelle parti periferiche.

Intanto diversi Paesi europei stanno lanciando la rete 5G servendosi di componenti della svedese Ericcson che commercializza stazioni radio base già abilitate per la trasmissione 5G dal 2015. Tuttavia uno studio ha recentemente stimato che un bando alle componenti Huawei comporterebbe in Italia un aumento dei costi di costruzione della rete del 19%, ovvero quasi 300 milioni di euro in più ogni anno per dieci anni (lo studio, bisogna dirlo, è stato realizzato dalla società Oxford Economics su commissione di Huawei stessa).

Il bando a Huawei si inserisce in un dibattito più ampio sui rischi che la quinta generazione di comunicazioni mobili avrà in termini di sicurezza, sia personale che collettiva. Le Monde ha raccolto le voci che sembrano circolare maggiormente sul 5G classificandole in ‘vero’, ‘falso’ e ‘non si sa’. Molte di queste riguardano gli effetti sulla salute umana, l’argomento che senz’altro desta la maggiore preoccupazione tra i cittadini. I quesiti a cui Le Monde prova a dare una risposta possono essere raggruppati in tre categorie: rischi per la salute, rischi per la sicurezza e rischi per l’ambiente, tra cui spicca quello per l’accuratezza delle previsioni meteorologiche.

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Tutti vegetariani per il clima?

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 25 settembre 2020]

Per la prima volta nel 2020 e a un anno dall’ultimo sciopero globale per il clima, oggi i ragazzi di Fridays For Future scendono in piazza per chiedere ai governi di agire urgentemente contro il cambiamento climatico.

Il momento non potrebbe essere più opportuno. La scorsa settimana si è chiusa con i cieli di San Francisco tinti di arancione, a causa dagli incendi che hanno bruciato circa 1,2 milioni di ettari di foresta nella sola California. Questa settimana si è aperta con la notizia che il ghiaccio artico ha toccato il secondo più basso livello di estensione mai osservato.

Il Polo Nord è una specie di sentinella per il cambiamento climatico. Gli effetti del riscaldamento globale da quelle parti si vedono più velocemente che altrove. La notizia ha guadagnato la prima pagina del quotidiano Le Monde non più tardi di mercoledì insieme a un bilancio sull’offerta di pasti vegetariani nelle scuole pubbliche francesi.

La produzione e distribuzione di cibo è infatti al secondo posto tra le attività umane inquinanti, essendo responsabile di una quantità stimata tra un quarto e un terzo delle emissioni di gas a effetto serra ogni anno (13,7 miliardi di tonnellate). Di questa porzione, quasi il 60% è legato alla produzione di carne e latticini. Dopo il settore dell’energia, è l’industria alimentare che sta lentamente finendo del mirino degli attivisti per il clima. Ne è prova il fatto che alcuni tra i più grandi fondi comincino a incorporare gli impatti ambientali nel calcolo del valore a rischio degli investimenti nel settore alimentare.

A sottolineare l’importanza di una dieta vegetariana ci si è messo anche Sir David Attenbourough. Il naturalista e produttore cinematografico britannico ha lanciato questa settimana il suo nuovo film ‘A life on our planet’ dicendo che per salvare la biodiversità sulla Terra occorre ridurre, fino quasi a eliminarlo, il consumo di carne. A fine novembre anche la BBC aveva prodotto un documentario sul tema, intitolato ‘Meat: A Threat to Our Planet?’ (che si può vedere qui).

Infine, poche settimane fa un gruppo di ricercatori statunitensi ha pubblicato su Nature Sustainability uno studio che stima che l’adozione di una dieta che riduce del 70% il consumo di carne porterebbe a un risparmio di 332 miliardi di tonnellate di CO2, l’equivalente di quanto è stato globalmente emesso negli ultimi 9 anni.

Diminuire il consumo di carne è quindi una necessità se si vuole raggiungere, come ha deciso l’Unione Europea, il livello zero di emissioni nette entro il 2050 per rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi. Ma una simile transizione è fattibile? Come dovrebbero cambiare le nostre diete per essere più sostenibili per l’ambiente? Quali sono le politiche più efficaci per avviare questo cambiamento?

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Sono un robot e vengo in pace

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 18 settembre 2020]

La scorsa settimana il Guardian ha pubblicato un editoriale scritto dal software per la generazione di linguaggio GPT-3, il più potente in circolazione. I redattori hanno fornito a GPT-3 alcune frasi di input, il cosiddetto prompt, che descrivevano il compito assegnato: comporre un saggio che convincesse i lettori che l’intelligenza artificiale non è una minaccia per l’umanità. Leggendo il testo, appare plausibile che sia stato scritto da un essere umano, anche se gli argomenti a sostegno della tesi si susseguono in maniera un po’ sconnessa (GPT-3 ha svolto il compito otto volte e i redattori hanno combinato e corretto queste otto versioni ottenendone una finale, un po’ come avrebbero fatto per un editoriale scritto da una persona).

La pubblicazione del Guardian ha riacceso il dibattito cominciato poco prima dell’estate, quando un gruppo di esperti ha avuto accesso a GPT-3, l’ultimo generatore di linguaggio della società OpenAI. Il dibattito ruota attorno a due domande. La prima è: quanto siamo vicini a sviluppare una intelligenza artificiale generale? Con l’espressione intelligenza artificiale generale (in inglese artificial general intelligence, AGI) ci si riferisce a una macchina con i poteri di apprendimento e di ragionamento della mente umana. La seconda domanda è: GPT-3 rappresenta un pericolo per l’umanità? Senza l’ambizione di voler rispondere a queste due domande – che francamente corrono il rischio di suonare mal poste, le prendiamo come pretesto per chiederci quali direzioni stia prendendo la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale e quale sia il nostro rapporto con l’automazione, sia come individui che come società. La prima ci permetterà infatti di capire quanta importanza stanno acquisendo i dati a discapito della teoria. La seconda invece ci spingerà ad analizzare gli aspetti politici e sociologici di questa area.

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Parte l’appello Scienza in Parlamento

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 2 aprile 2019]

Come portare la Scienza in Parlamento

Un gruppo di giovani ricercatori e giornalisti scientifici lancia oggi l’appello #ScienzaInParlamento – La Scienza al servizio della Democrazia, per chiedere la costituzione di un ufficio di consulenza scientifica a supporto dell’attività legislativa del nostro Paese. L’iniziativa è già stata sottoscritta da personalità di peso del mondo della ricerca che condividono l’importanza di mettere a disposizione dei deputati e dei senatori le migliori conoscenze esistenti su alcuni temi di natura` scientifica e tecnologica che sono fondamentali per il futuro del nostro Paese e dell’Europa. È cruciale però che queste conoscenze siano trasmesse in modo funzionale, fruibile e al momento giusto cosicché i politici possano trarne beneficio. Per questo la proposta è quella di costituire una struttura che faccia da intermediaria tra gli esperti e i parlamentari, rimanendo dunque indipendente e traducendo il linguaggio, spesso troppo tecnico, della scienza. Soprattutto, deve essere in grado di restituire la complessità di alcune questioni per permettere ai nostri rappresentanti di prendere decisioni informate ed equilibrate.

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Chi sono i ricercatori highly cited

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 20 dicembre 2018]

È stata pubblicata il 27 novembre scorso la lista dei ricercatori Highly Cited secondo Clarivate Analytics. La lista comprende i ricercatori che nel periodo 2006-2016 hanno pubblicato articoli con un un eccezionale numero di citazioni. L’analisi è condotta distinguendo 21 diverse aree scientifiche: dalla medicina clinica alla fisica, dalla matematica alle scienze agrarie e così via. Quest’anno per la prima volta vengono inseriti nella lista anche gli scienziati che hanno raccolto il numero critico di citazioni da diversi campi, i cosiddetti ricercatori della categoria cross-field.

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ERC: più fondi per non perdere progetti eccellenti

In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2018-2019 all’Università Bocconi di Milano, abbiamo intervistato Jean-Pierre Bourguignon, Presidente dello European Research Council fino alla fine del 2019. Per decidere chi lo sostituirà fra poco più di un anno, il Commissario europeo alla ricerca, la scienza e l’innovazione Carlos Moedas ha chiesto l’aiuto di Mario Monti, presidente della Bocconi, mettendolo a capo di una commissione di esperti.

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La difficile transizione all’Open Access

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 3 ottobre 2018]

Il 4 settembre scorso un gruppo di 12 agenzie europee di finanziamento della ricerca ha annunciato l’iniziativa di conversione all’Open Access (OA) Plan S, che prevede di rendere obbligatoria entro il 2020 la pubblicazione immediata in OA per tutti i ricercatori che ricevono fondi da enti pubblici europei. Tra i sottoscrittori di questa iniziativa c’è anche Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), unico ente italiano. «L’INFN ha una tradizione Open Access ed è da anni in prima linea nella sua promozione con progetti come SCOAP3 in collaborazione con il CERN», ha affermato Fernando Ferroni, presidente dell’INFN (qui il modello di funzionamento di SCOAP3).

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Sofosbuvir: la battaglia continua

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 23/09/2018]

In una seduta pubblica svoltasi a Monaco il 13 settembre, lo European Patent Office (EPO) ha deciso di respingere l’opposizione al brevetto sul farmaco sofosbuvir, un antivirale ad azione diretta utilizzato per curare l’epatite C, di proprietà dalla società farmaceutica Gilead Sciences. La richiesta di opposizione era stata depositata a marzo dello scorso anno simultaneamente in 17 Paesi, tra cui India, Argentina, Brasile, Cina e Stati Uniti, da parte di una serie di organizzazioni non governative e associazioni di pazienti (in Europa Medici Senza Frontiere e Médecins du Monde).

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Smettiamo di credere ciecamente negli algoritmi

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 12 settembre 2018]

Quest’anno al carnevale di Notting Hill, che ogni agosto a Londra celebra la black British culture, la London Metropolitan Police non ha utilizzato i sistemi di riconoscimento facciale che aveva sperimentato nel 2017. Le uniche misure straordinarie di sicurezza sono stati i metal detector e gli agenti speciali capaci di memorizzare i volti di una serie di ricercati talmente bene da identificarli in una folla. L’esperienza dello scorso anno infatti era stata deludente: delle 104 persone segnalate dai sistemi di riconoscimento facciale, 102 erano risultati dei falsi positivi: una volta fermati dagli agenti la loro identità non corrispondeva a quella indicata dall’algoritmo. L’organizzazione per i diritti civili Big Brother Watch aveva denunciato i limiti di questa tecnologia, affermando che penalizza in particolare le minoranze (donne e persone appartenenti alle minoranze etniche).

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Glifosato: dalla scienza al tribunale (e ritorno)

[originariamente pubblicato su Scienza in rete il 6 settembre 2018]

Il processo mediatico era stato celebrato a giugno del 2017 sui giornali di mezzo mondo, partendo dalle due inchieste pubblicate da Le Monde (qui e qui) sui cosiddetti Monsanto Papers. Il primo atto del processo ufficiale si è
concluso invece
lo scorso 10 agosto, quando il giudice Suzanne Ramos Bolanos della Corte Suprema della California ha condannato in primo grado l’azienda agrochimica Monsanto al pagamento di 289 milioni di dollari di risarcimento a Dewayne Johnson, un ex giardiniere di 46 anni colpito da una forma terminale di linfoma della pelle. La giuria ha stabilito che è stato il glifosato contenuto nell’erbicida Round Up, commercializzato dall’azienda fin dagli anni ’70, a causare la malattia di Johnson, a cui restano ormai pochi mesi di vita.

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Torna Ebola, ma adesso c’è il vaccino

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 21 giugno 2018]

L’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dichiarata dalle autorità sanitarie l’8 maggio scorso, sembra essere sotto controllo. È quanto ha dichiarato il Ministro della Salute della RDC in un’intervista su Le Monde Afrique l’11 giugno scorso e anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel suo ultimo External Situation Report, pubblicato pochi giorni fa.

Stando ai dati riportati fino al 17 giugno sono 62 i casi di Ebola virus, di cui 38 confermati dagli esami di laboratorio effettuati a Kinshasa con la tecnica della RT-PCR, 14 probabili (secondo i test rapidi condotti nei centri sanitari locali) e 10 i casi sospetti. Il numero totale di decessi è 28, con un tasso di mortalità del 45,2%. Tutti i casi si concentrano nella provincia nordoccidentale dell’Équateur in tre distretti sanitari, due rurali coperti dalla foresta equatoriale e organizzati in piccoli villaggi (distretti di Bikoro e Iboko) e uno, quello di Wangata, dove si trova la città di Mbandaka. A Mbandaka vivono oltre 300 mila persone.

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È scontro sul bilancio UE per la ricerca

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 4 maggio 2018 insieme a Luca Carra]

La proposta di bilancio per il periodo 2021-2027 presentata il 2 maggio dalla Commissione Europea ha fatto sollevare più di un sopracciglio in chi avversa da posizioni sovraniste una crescita del potere dell’Unione. Perché questo indubbiamente comporta la mossa che rasenta l’azzardo fatta da Jean-Claude Juncker: presentare un bilancio post-2020 pari a 1.279 miliardi di euro,  l’1,11% del PIL dell’Unione. Oltre la soglia psicologica dell’1%.

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Algoritmi umani alla francese

[pubblicato originariamente su Scienza in rete il 21 marzo 2018]

Le rivelazioni di Chrstopher Wylie, data scientist canadese di 28 anni ex dipendente della società di consulenza Cambridge Analytica, confermano ancora una volta l’importanza degli algoritmi, in particolare quelli di machine learning (che basano cioè parte del loro funzionamento sui dati), nell’influenzare i processi sociali e, in ultima battuta, la vita dei singoli individui.

Quanto affermato da Wylie promette infatti di avere conseguenze su due diverse inchieste parlamentari: quella sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane del 2016 e quella riguardo il referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea. Wylie ha reso pubblici una serie di documenti che testimoniano come Cambridge Analytica sviluppò il suo algoritmo di microtargeting psicologico basandosi sui dati Facebook di decine di milioni di elettori americani, ottenuti illegalmente tramite la società Global Science Research, del ricercatore dell’Università di Cambridge Aleksandr Kogan. Kogan riuscì a raccogliere i dati dichiarando che sarebbero stati usati per scopi accademici, salvo poi venderli a Cambridge Analytica per un milione di dollari.

I rischi connessi all’utilizzo degli algoritmi come sistemi di assistenza alla decisione stanno emergendo in diversi ambiti: finanza, assicurazioni, accesso al credito, giustizia, sicurezza, gestione del personale e, appunto, informazione e propaganda politica. Li racconta bene Cathy O’Neil nel suo libro Weapons of math destruction (che abbiamo recensito qui), in cui si capisce chiaramente qual è il problema: gli algoritmi apprendono dai dati prodotti dai nostri comportamenti e in questi sono incorporati anche i nostri pregiudizi.

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L’Italia accelera sui brevetti

[pubblicato originariamente su Scienza in rete l’8 marzo 2018]

Bruxelles, 7 marzo 2018. “L’innovazione è il driver principale dell’economia europea, e globale più in generale”, ha dichiarato Benoit Battistelli, presidente dello European Patent Office presentando ieri a Bruxelles i risultati della sua organizzazione per l’anno 2017. Il numero di application, ovvero di richieste depositate da industrie, piccole e medie imprese, università, istituti di ricerca e singoli individui per proteggere la proprietà intellettuale delle loro invenzioni, è aumentata del 3,9% rispetto al 2016, stabilendo il nuovo record di 165.590 richieste. I brevetti accettati sono stati 105.635 contro i 95.940 del 2016. La correlazione tra spinta innovativa e crescita dell’economia, ha affermato Battistelli, non è una novità, ma un recente studio realizzato insieme a EUIPO, lo European Union Intellectual Property Office, ne ha misurato per la prima volta la dimensione. Secondo il presidente la catena di trasmissione è rappresentata dagli investimenti in ricerca e sviluppo.

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Polizia predittiva: possono gli algoritmi prevedere i reati?

[pubblicato originariamente su Il Messaggero l’11 dicembre 2017 con il titolo “Scacco alla malavita: arriva l’algoritmo che prevede i reati”]

All’inizio degli anni ’60 tre ragazzi di Angera, vicino Varese, misero a segno 17 rapine in banca tra Milano, Torino e Varese. Colpivano sempre di lunedì, e fu proprio lunedì 15 marzo 1965 che vennero arrestati dalla squadra mobile di Milano, guidata dal commissario Mario Nardone. I tre banditi vennero ribattezzati “banda del lunedì”. Cinquanta anni dopo le cose non sono cambiate: delle 2000 rapine a danno di esercizi commerciali e istituti bancari avvenute a Milano tra il 2008 e il 2011, il 70% può essere collegato a un’altra tra quelle commesse. Insomma: il reato di rapina tende a essere seriale. Questa caratteristica ha spinto Mario Venturi, assistente capo della Polizia di Stato presso la questura di Milano, a sviluppare il software di polizia predittiva KeyCrime, collaudato nel 2007 e regolarmente utilizzato a partire dal 2008. Analizzando i dati relativi alle rapine passate, KeyCrime raggruppa gli eventi simili in una serie e prevede dove e quando è più probabile che avvenga la prossima rapina. Le previsioni indirizzano le operazioni degli agenti sul territorio per permettergli di cogliere i colpevoli in flagrante.

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Stradella, dove finiscono i libri che nessuno apre

[pubblicato originariamente su Pagina99, 13/10/2017]

In Italia aumentano i titoli in libreria, non i lettori. Gli unici a farci i soldi, così, sono i magazzini della logistica. Abbiamo visitato il più grande

Gli italiani leggono poco, eppure ogni anno siamo invasi da un numero di nuovi titoli sempre maggiore. Libri che si riversano sugli scaffali delle librerie a frotte, restano in bella vista per poche settimane, tornano in buona parte negli scatoloni. Il mercato editoriale italiano sta diventando anche (soprattutto?) questo, un business logistico immenso e complicatissimo.

Per raccontarlo bisogna venire a Stradella, a pochi chilometri da Pavia, dove ha sede lo stabilimento “Città del libro” della società di logistica Ceva. Qui ogni anno 400 magazzinieri movimentano 96 milioni di volumi. Tra i clienti ci sono grandi editori, come Mondadori, Rizzoli e Pearson, ma anche Messaggerie Libri, il distributore di circa 600 case editrici italiane, grandi, piccole e medie. Le rese dalle librerie, ogni anno, sono 24 milioni. Un movimento ogni quattro, insomma, è un libro che torna indietro.

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Algoritmi ingiusti

[pubblicato originariamente su Scienza in rete, 17 luglio 2017]

Pubblicità online, gestione del rischio finanziario, valutazione degli insegnanti delle scuole pubbliche, ranking delle università, sicurezza, giustizia, selezione del personale, organizzazione dei turni di lavoro, assicurazioni, campagna elettorale. Cos’hanno in comune queste attività? In ognuna di loro trova impiego uno tra i cosiddetti Weapons of math destruction, letteralmente “armi di distruzione matematica”, ma più propriamente “armi matematiche di distruzione di massa”, per rendere conto del riuscito gioco di parole che dà il titolo al secondo libro di Cathy O’Neil, pubblicato da Crown Publishing ad agosto del 2016, dal sottotitolo eloquente: “How big data increases inequality and threatens democracy”.

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La vita sociale dei quark

[originariamente pubblicato su Scienza in rete, 13 luglio 2017]

Proprio mentre si festeggiavano i cinque anni dalla scoperta del bosone di Higgs, dal Large Hadron Collider è arrivato l’annuncio di una nuova particella, meno famosa forse, ma non meno interessante. Si tratta di uno stato contenente due quark charm e un quark up. I quark sono i costituenti fondamentali della materia, e ne esistono sei tipi: up e down sono i più leggeri, e poi ci sono strange, charm, bottom e top, più pesanti. È proprio la doppia dose di charm della nuova particella a renderla speciale. Potrebbe infatti aiutarci a capire qualcosa di più sulle interazioni che tengono insieme i quark quando questi si legano a formare gli adroni. Della famiglia degli adroni fanno parte i ben noti protoni e neutroni, oltre a una serie di altre particelle più pesanti che vengono prodotte negli acceleratori.

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Sapresti riconoscere una fake-news?

[originariamente pubblicato su Scienza in rete, 19 aprile 2017]

Nel 2016 post-truth è stata eletta parola dell’anno dall’Oxford Dictionary, battendo in finale, tra le altre, Brexiteer (persona che sostiene la Brexit), chatbot (un programma che simula conversazioni con utenti umani soprattutto online) e Latinx (persona di origine Latino-Americana). Secondo l’Oxford Dictionary post-truth è l’aggettivo che si riferisce a circostanze in cui i “fatti oggettivi” giocano un ruolo secondario nell’orientare l’opinione pubblica rispetto alle emozioni e alle convinzioni personali.

Il Macquaire Dictionary, il parente australiano dell’Oxford Dictionary, ha scelto invece fake news, che ha prevalso in finale su enby (persona che non si identifica né con una femmina né con un maschio) e halal-snack pack (un panino contenente patate, formaggio gratinanto e carne halal). La definizione di fake news data dal Macquire Dictionary recita “disinformation and hoaxes published on websites for political puroposes or to drive web traffic, the incorrect informartion being passed along by social media”.

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Il rompicapo delle valutazioni ANVUR

[originariamente pubblicato su Scienza in rete, 27 febbraio 2017]

Mercoledì scorso, 22 febbraio, l’ANVUR (Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca) ha presentato a Roma i risultati della seconda VQR (Valutazione Qualità della Ricerca), relativa ai 4 anni dal 2011 al 2014. Nel documento di presentazione l’ANVUR dichiara che i risultati della VQR sono rilevanti per tre categorie. La prima è il governo, che si basa su questa valutazione per assegnare la quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario destinato a Università e Enti di ricerca vigilati dal MIUR. La seconda categoria è costituita da “le famiglie e gli studenti per orientarsi nelle difficili scelte collegate ai corsi di studio e alle università”. Il terzo gruppo è quello dei “giovani ricercatori”, italiani e non, “per approfondire la propria formazione e svolgere attività di ricerca nei migliori dipartimenti”.

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L’Aquila riparte dal Gran Sasso Science Institute

[originariamente pubblicato su Scienza in rete, 6 febbraio 2017]

Tra le 10.25 e le 11.25 di mercoledì 18 gennaio la terra ha tremato ancora nel centro Italia. Si sono susseguite tre scosse di magnitudo superiore a 5, con epicentro a 9 chilometri di profondità tra le province di Rieti e L’Aquila (i paesi più vicini sono Montereale, Capitignano e Amatrice). Le scosse sono state avvertite anche dai ricercatori del Gran Sasso Science Institute (GSSI) a L’Aquila, ma non sono stati presi dal panico. Sono usciti sotto la neve, nello spazio antistante l’edificio e dopo poco sono rientrati, convinti di poter riprendere le loro attività. Intorno all’una tuttavia il prefetto dell’Aquila Giuseppe Linardi ha ordinato l’evacuazione e la chiusura di tutti gli edifici pubblici della città, compreso il GSSI.

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Quanto viaggiano in treno gli Europei?

Degli oltre 8 milioni di tonnellate di ossidi di azoto emessi in Europa, circa il 12% (poco più di 1 milione di tonnellate) è dovuto al trasporto via terra. Gli ossidi di azoto si formano infatti durante combustioni ad alta temperatura, come quelle che avvengono nei motori degli autoveicoli. Gli effetti sulla salute degli ossidi di azoto sono ormai ben noti, soprattutto in seguito allo scandalo diesel-gate che ha colpito la Volkswagen nel settembre del 2015 (in generale i motori diesel emettono più ossidi di azoto dei motori a benzina).
La riduzione dell’uso dell’automobile in favore del treno è quindi una delle politiche che l’Unione Europea ha messo in campo per ridurre le emissioni di gas serra e gli impatti dell’inquinamento dell’aria sulla salute.

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Ecco come il nostro cervello elabora le negazioni

[originariamente pubblicato su talk.iit.it, 24 ottobre 2016]

Un gruppo di neuroscienziati, appartenenti all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese, ha sfruttato le connessioni esistenti sulla corteccia cerebrale tra la zona motoria e quella del linguaggio, per capire come il nostro cervello elabora il significato delle negazioni.

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Gli spiccioli dei PRIN 2015 alla ricerca pubblica

[originariamente pubblicato su Scienza in rete, 27 settembre 2016]

Il 20 settembre scorso il Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha reso pubblico l’elenco dei vincitori dei bandi PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale), i finanziamenti pubblici per la ricerca assegnati su base competitiva. La somma messa a disposizione dal MIUR è di 91’244’801 euro, di cui  79’947’832 sono assegnati sulla base della valutazione del progetto e della richiesta di budget del principal investigator (PI, colui o colei che propone il progetto), mentre  11’296’969 rappresentano la quota premiale,  ovvero la somma conferita dal MIUR in base allo stipendio del PI (precisamente il 50% dello stipendio del PI).

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Algoritmi per difenderci

[da Il Sole 24 Ore pagina 12, 24 Luglio 2016, Nòva24 Tech]

I nostri comportamenti, che siano telefonate al cellulare, acquisti online, o il modo di muoversi all’interno di un aeroporto, possono essere registrati e trasformati in dati. Sofisticati algoritmi, detti di machine learning, analizzano questi dati per costruire i nostri “profili”. Ma quanto sono affidabili? E che tipo di decisioni supportano?

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Elettroencefalogrammi collettivi

Tre anni fa, durante la notte bianca di Toronto, è stata l’installazione più visitata. File di oltre due ore si allungavano all’esterno del duomo geodesico di 18 metri di diametro che ospitava “My Virtual Dream“. Si tratta di un esperimento neuroscientifico unico nel suo genere. I partecipanti, oltre cinquecento alla fine dell’evento, sono stati letteralmente “immersi” in un’esperienza artistica e musicale prodotta dai loro stessi cervelli, monitorati tramite elettroecefalogramma (EEG). L’obiettivo era quello di studiare il fenomeno del neurofeedback, ovvero l’effetto che la visualizzazione della propria attività cerebrale  produce sull’attività stessa. Ideato da un gruppo di neuroscienziati del Rotman Research Institute presso il Baycrest hospital di Toronto, il progetto è stato realizzato grazie al coinvolgimento di figure molto diverse tra loro: multi-media artist, esperti di brain imaging e brain computer interface, musicisti. L’esperimento è unico nel suo genere per due motivi. Per la prima volta i dati relativi alle oscillazioni neuronali sono stati raccolti fuori da un laboratorio, in un ambiente ricco di stimoli e disturbi, molto più simile a quello in cui viviamo quotidianamente. In secondo luogo il campione di dati raccolto ha una dimensione (523 soggetti) mai raggiunta prima. I risultati raccolti durante l’evento “My Virtual Dream”, hanno permesso di confermate effetti già osservati in laboratorio e scoprirne di nuovi.

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Prevedere la diffusione di malattie: il ruolo dei big data

Negli ultimi due post ho raccontato aspetti controversi sull’utilizzo dei big data. Ma ci sono molte altre situazioni in cui i dati possono fare la differenza. Una di queste è la previsione della diffusione di influenze o malattie infettive. Sono diversi i dati che possono essere impiegati in questo tipo di analisi: attività online (sia sui social media che sui motori di ricerca), traffico aereo in uscita dalle zone di focolaio iniziale, localizzazione degli habitat in cui proliferano i vettori dell’infezione. Questi strumenti possono essere di grande supporto alle autorità sanitarie, che per mappare la diffusione di una malattia possono fare affidamento solo sui casi già accertati.

La diffusione del virus Zika, dichiarato emergenza sanitaria dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stata studiata con tutti questi strumenti attraverso il coinvolgimento di società specializzate in analisi dei dati: l’americana Google e la canadese Blue Dot. Vediamo come.

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I meta dati che uccidono

Se il governo cinese pianifica di intensificare il controllo sui cittadini impugnando l’arma dei big data, gli Stati Uniti lo fanno già da molto tempo. In particolare ha avuto risonanza la notizia che la NSA, l’agenzia di intelligence statunitense, avrebbe basato una parte degli attacchi con droni condotti in Pakistan, responsabili di migliaia di vittime, sull’analisi del traffico telefonico mobile dei cittadini di quel paese.

Se quest’affermazione può destare in voi inquietudine, i dettagli su come questi dati siano stati utilizzati vi sconvolgeranno.

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Cina: big data per prevenire il crimine

Ricordate il film Minority Report in cui il sistema Precrimine permetteva di sventare gli omicidi prima che venissero commessi nella Washington del 2054? Ecco, la Cina si prepara a un’operazione simile sfruttando i dati sull’attività online, le telefonate, i conti correnti bancari, il livello dei consumi dei suoi cittadini. L’obiettivo è quello di stanare i sovversivi prima che compiano attività di sabotaggio verso il partito comunista cinese. A realizzare questa impresa, che comporterà l’archiviazione e l’analisi di un’enorme quantità di dati, sarà la società di telecomunicazioni China Technology. Il parlamento ha già preparato il campo a questo programma di sorveglianza, promulgando, il primo gennaio scorso, una legge che priva di qualsiasi diritto di privacy.

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Fisica per cittadini

Ormai molte delle scelte politiche e sociali che siamo chiamati a compiere si basano su dati di natura scientifica. Perché siamo così disperatamente attaccati al petrolio? Sappiamo che le polveri sottili sono dannose per la nostra salute, ma che differenza c’è tra PM 2.5 e PM 10? Quando dicono che il PIL è cresciuto dello 0.75%, stanno dicendo la verità? Se non sapete rispondere a queste domande non preoccupatevi. Il 29 febbraio avrà inizio, nelle aule del dipartimento “Cultura, politica e società” dell’Università di Torino, il corso “Fisica per cittadini”. È destinato principalmente agli studenti delle lauree umanistiche, ma non solo. Di cosa si tratta? Ce lo racconta Lorenzo Magnea, professore ordinario di fisica teorica all’Università di Torino e titolare del corso.

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Il vaccino che superò il muro della guerra fredda

La storia del vaccino contro la poliomielite nasce negli Stati Uniti nei primi anni 50 del novecento. Il giornalista William Swanson la ha raccontata in questo articolo su Scientific American. Mentre la contrapposizione con l’Unione Sovietica era ormai chiara e lo spettro di una guerra nucleare diventava sempre più minaccioso, un nemico interno spaventava gli americani: la poliomielite. Era ormai noto che a causarla è un virus, che raggiungendo l’intestino attraverso il canale alimentare, si infiltra nel flusso sanguigno e colpisce infine il sistema nervoso centrale. L’immagine dei bambini con gli arti ritorti, distesi sulle schiene senza possibilità di muoversi, tormentava gli americani. Due scienziati, uno americano e l’altro sovietico nel giro di pochi anni, misero a punto un vaccino in grado sostanzialmente di eradicare la malattia. La loro collaborazione, oltraggiosa per i politici dell’epoca, portò a una delle più importanti conquiste della medicina nel novecento, salvando innumerevoli vite.

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SESAME: un acceleratore per il Medio Oriente

SESAME, Synchrotron-light for Experimental Science and Applications in the Middle East, è il nome del primo acceleratore di particelle costruito in Medio Oriente. Voluto dall’UNESCO, è stato finanziato dall’Unione Europea e supportato scientificamente dal CERN. Il laboratorio si trova  vicino alla città di Allan, nel Nordovest della Giordania. SESAME sarà organizzato sul modello del CERN, con un consiglio direttivo in cui siedono i paesi membri: Bahrain, Cipro, Egitto, Iran, Israele, Giordania, Pakistan, Palestina e Turchia. È loro la responsabilità della direzione del centro di ricerca, incluse le questioni di natura finanziaria. Ai paesi osservatori, tra cui Unione Europea, USA e Brasile, è affidato invece un ruolo di consulenza. L’obiettivo del progetto è quello di produrre scienza e tecnologia di frontiera e allo stesso tempo di favorire il dialogo tra i paesi dell’area, costruendo ponti culturali che superino le contrapposizioni politiche.

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